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mercoledì 23 febbraio 2011

Detassazione del 10% riconosciuta sulle somme di reddito a fronte di incremento della produttività: chiarimenti Agenzia delle Entrate

Come noto, attraverso l’articolo 53 del D.L. 31 maggio 2010,n. 78 e l’articolo 1, comma 47 della legge 21 dicembre 2010, n. 220, il Legislatore ha di fatto prorogato per tutto il 2011 il regime di tassazione sostitutiva del 10% in ordine alle somme ‘correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all'andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale’.

L’agenzia delle Entrate, con recente circolare 14 febbraio 2011, n. 3/E, in ordine ai diversi dubbi interpretativi, ha di fatto fornito il proprio orientamento sulla materia.

Secondo l’Agenzia, la tassazione agevolata prevista per l’anno 2011 è di fatto subordinata alla circostanza che la retribuzione premiale sia erogata in attuazione di accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali, escludendo quindi dal beneficio fiscale gli emolumenti premiali corrisposti sulla base di accordi o contratti collettivi nazionali di lavoro ovvero di accordi individuali’.

Inoltre, ai sensi del predetto articolo 53, l’assoggettamento all’imposta sostitutiva sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali trova applicazione entro il limite complessivo di 6.000 euro lordi e per i titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore a 40.000 euro.

Pertanto, per il 2011,il regime di miglior favore troverà applicazione:

- Entro il limite complessivo di € 6.000,00 per i titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore a € 40.000,00;
- Qualora la retribuzione sia stata erogata in attuazione di accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali;
- Qualora le somme erogate siano correlati a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione ed efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili dell’impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale.

In merito, l’Agenzia elenca i principali istituti che possono dare luogo all’applicazione della misura in quanto riconducibili ad elementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa, quali:

• Straordinario: è detassabile tutta la retribuzione relativa al lavoro straordinario[ quota di retribuzione ordinaria +quota relativa alla maggiorazione spettante per le ore straordinarie];
• Lavoro a tempo parziale: è detassabile l’intero compenso per lavoro supplementare;
• Lavoro notturno: sono detassabili le somme erogate per il lavoro notturno in ragione delle ore di servizio effettivamente prestate nonché l’eventuale maggiorazione spettante per le ore di ordinario lavoro effettivamente prestate in orario notturno;
• Lavoro festivo: è detassabile la maggiorazione corrisposta ai lavoratori che , usufruendo del giorno di riposo settimanale in giornata diversa dalla domenica, siano tenuti a prestare lavoro la domenica;
• Indennità di turno e le maggiorazioni retributive corrisposte per lavoro normalmente prestato in base ad un orario articolato su turni.

martedì 22 febbraio 2011

COMPENSAZIONI Al via le nuove compensazioni su F24

Con la risoluzione n. 18/E del 21 febbraio, l'Agenzia delle Entrate ha istituito il codice tributo da indicare nel Modello «F24-Accise» utile alla gestione dello scambio di crediti con debiti a ruolo. Si tratta del codice tributo «Ruol», denominato «Pagamento mediante compensazione delle somme iscritte a ruolo per imposte erariali e relativi accessori - Art. 31, c. 1, D.L. 31 maggio 2010, n. 78».

Nel Modello F24-Accise, il codice è esposto nella sezione «Accise/Monopoli ed altri versamenti non ammessi in compensazione», in corrispondenza degli «importi a debito versati». Nella stessa sezione, nel campo «Ente», si indica la lettera R. Nel campo «Prov.» si indica la sigla della provincia di competenza dell'agente della riscossione presso il quale il debito
risulta in carico.

I campi «Codice identificativo», «Mese» e «Anno di riferimento» non devono essere compilati.
L'istituzione del codice segue la pubblicazione del Provvedimento 10 febbraio 2011, pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» n. 40 del 18 febbraio 2011, emanato per attuare l'articolo 31, del decreto legge n. 78 del 2010, in base al quale a decorrere dal 1° gennaio 2011, la compensazione dei crediti di cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, relativi alle imposte erariali, è vietata fino a concorrenza dell'importo dei debiti, di ammontare superiore a 1.500 euro, iscritti a ruolo per imposte erariali e per i quali è scaduto il termine di pagamento.

Per le Entrate, il divieto di compensare i crediti scatta in caso di debiti scaduti iscritti a ruolo sopra i 1.500 euro, per imposte erariali, cioè I.V.A., IRPEF, IRES, I.R.A.P. e addizionali sui tributi diretti.

È invece libera la compensazione, se i debiti iscritti a ruolo non riguardano debiti di natura erariale quali, per esempio, i contributi previdenziali I.N.P.S., l'I.C.I., la TARSU, la T.O.S.A.P. o i premi I.N.A.I.L.

IL SOLE 24 ORE Martedì 22 febbraio 2011

lunedì 21 febbraio 2011

GESTIONE SEPARATA INPS: NESSUN AUMENTO DEI CONTRIBUTI

Per la gestione separata confermate le aliquote vigenti nel 2010. Come negli anni precedenti, per gli iscritti che non risultino già assicurati ad altra forma previdenziale è dovuta l'ulteriore aliquota contributiva per il finanziamento dell'onere derivante dall'estensione agli stessi della tutela relativa alla maternità, agli assegni per il nucleo familiare, alla degenza ospedaliera e, per determinate categorie, alla malattia: l'aliquota aggiuntiva è dello 0,72%.

In conseguenza di tutto ciò le aliquote contributive dovute all'INPS nell'anno in corso sono complessivamente fissate come segue:

1) per i soggetti non assicurati ad altre forme pensionistiche obbligatorie e non pensionati 26,72%;

2) per i soggetti pensionati o provvisti di altra tutela pensionistica obbligatoria 17%.

Ripartizione. La ripartizione dell'onere contributivo tra collaboratore e committente rimane fissata nella misura rispettivamente di un terzo e due terzi, salvo il caso di associazione in partecipazione, per il quale la ripartizione tra associante ed associato avviene in misura pari rispettivamente al 55% e al 45% dell'onere totale.

Il versamento dei contributi deve essere eseguito dal titolare del rapporto contributivo (committente o associante) entro il giorno 16 del mese successivo a quello di corresponsione del compenso, mediante il modello F24 (telematico nel caso dei titolari di partita IVA). Per i professionisti iscritti alla gestione separata l'onere contributivo è tutto a carico dei soggetti stessi ed il versamento dei contributi deve essere eseguito, tramite il modello F24 telematico, alle scadenze fiscali previste per il pagamento delle imposte sui redditi (saldo 2010, primo acconto 2011 e secondo acconto 2011).

Massimale annuo di reddito. Le aliquote del 26,72% e del 17% sono applicabili fino al raggiungimento del massimale di reddito che per l'anno 2011 è di 93.622 euro.

Entro il 12 gennaio 2011. L'istituto ricorda che le somme corrisposte entro il giorno 12 del mese di gennaio si considerano percepite nel periodo d'imposta precedente (principio di cassa allargato).

Minimale per l'accredito contributivo. Dal punto di vista contributivo non c'è alcun reddito minimale da rispettare, il committente e il professionista pagano in relazione alla misura del reddito effettivo. Questo principio, però, non vale ai fini pensionistici, in questo caso infatti i contributi devono essere accreditati in una misura minima se si vuole che l'intero anno sia riconosciuto quale anzianità contributiva: quest'anno il minimale è di 14.552 euro; ciò comporta che gli iscritti, per i quali il calcolo della contribuzione avviene con l'aliquota del 17%, avranno l'accredito dell'intero anno con un contributo annuo di 2.473,84 euro, mentre gli iscritti per i quali il calcolo della contribuzione avviene con l'aliquota del 26,72%, avranno l'accredito dell'intero anno con un contributo annuale pari a 3.888,29 euro (di cui 3.784 ai fini pensionistici).

Se alla fine dell'anno il predetto minimale non fosse stato raggiunto, gli uffici INPS provvederanno a contrarre il numero dei mesi accreditati in proporzione al contributo versato.

Aliquote di computo. Per il calcolo della pensione le aliquote di computo restano confermate nella misura del 26% e del 17%, rispettivamente per i soggetti non iscritti ad altra gestione pensionistica obbligatoria e per tutti i rimanenti iscritti.

INPS - Circ. n. 30 del 9 febbraio 2011)

CASSA INTEGRAZIONE, MOBILITÀ, DISOCCUPAZIONE: I MASSIMALI MENSILI 2011

Cassa integrazione guadagni 2011. L'integrazione INPS non può superare il massimale che quest'anno è di 906,80 euro lordi mensili, e che al netto della riduzione del 5,84% scende a 853,84 euro; se la retribuzione è superiore a 1.961,80 euro il massimale sale rispettivamente a 1.089,89 e 1.026,24 euro.

Questi importi massimi devono essere incrementati nella misura ulteriore del 20% per i trattamenti di integrazione salariale concessi in favore delle imprese del settore edile e lapideo per intemperie stagionali.

Indennità di mobilità. Gli stessi importi indicati per la cassa integrazione si applicano in caso di indennità di mobilità spettante per i primi dodici mesi, da liquidare in relazione ai licenziamenti successivi al 31 dicembre 2010.

Disoccupazione per l'edilizia. Per i lavoratori che hanno diritto al trattamento speciale di disoccupazione per l'edilizia (legge n. 223/1991), nonché a quello della legge n. 451/1994, trovano applicazione gli importi sopra indicati. Per i lavoratori che hanno diritto al trattamento speciale di disoccupazione per l'edilizia in base alla legge n. 427/1975, l'importo da corrispondere per l'anno 2011 è di 592,89 euro, che, al netto della riduzione del 5,84%, scende a 558,27 euro.

Indennità ordinaria di disoccupazione. Gli importi massimi mensili dell'indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali sono pari per il 2011 a 906,80 euro e a 1.089,89 euro. Per quanto riguarda l'indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti e quella agricola con requisiti normali e ridotti, da liquidare con riferimento all'attività svolta nel corso dell'anno 2010, trovano invece applicazione gli importi stabiliti per il 2010 e cioè 892,96 euro e 1.073,25 euro.

Assegno per attività socialmente utili. L'importo mensile dell'assegno spettante ai lavoratori che svolgono attività socialmente utili è pari dal 1° gennaio 2011 a 541,38 euro. Infine per i lavori di pubblica utilità si ricorda che non opera alcuna rivalutazione annuale per cui l'assegno resta fissato in 413,16 euro mensili.

(INPS - Circ. n. 25 del 4 febbraio 2010)

ARTIGIANI e COMMERCIANTI: I CONTRIBUTI INPS 2011, PRIMO APPUNTAMENTO IL 16 MAGGIO

Confermate per l'anno in corso le aliquote contributive vigenti nel 2010 per artigiani e commercianti, con l'esclusione di minimali e massimali (per essi sono previsti nuovi valori).

Le aliquote per il corrente anno, rimaste invariate, risultano essere del 20% per gli artigiani e 20,09% per i commercianti. Per i coadiutori di età non superiore a 21 anni opera una riduzione di tre punti percentuali. Ne deriva che il contributo generale minimo annuo dovuto per la pensione (ad esso si devono aggiungere 62 centesimi al mese per il contributo di maternità) è di 2.917,84 euro per artigiani e 2.930,94 per commercianti. Per i periodi inferiori all'anno solare, il contributo sul minimale rapportato a mese è di 243,15 euro per artigiani e 244,24 per commercianti.

Il contributo per l'anno 2011 è dovuto sulla totalità dei redditi d'impresa prodotti nel 2010 per la quota eccedente il minimale di 14.552 euro in base alle citate aliquote e fino al limite di retribuzione annua pensionabile pari, per il corrente anno, all'importo di 43.042 euro. Per i redditi superiori a tale cifra è sempre applicabile l'addizionale 1%.

I massimali. La normativa prevede due diversi tipi di massimale di reddito oltre il quale non è più dovuto il contributo per la pensione.

1) Il primo massimale di reddito annuo è pari a 71.737 euro; esso riguarda esclusivamente i soggetti iscritti all'INPS con decorrenza anteriore al primo gennaio 1996 o che possono far valere anzianità contributiva a tale data.

2) Il secondo riguarda i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, iscritti con decorrenza gennaio 1996 o successiva; esso è non frazionabile in ragione mensile ed è pari a 93.622 euro.

Per quanto precede, il contributo previdenziale massimo dovuto per la pensione risulta nel 2011 pari a 14.634,35 euro per artigiani e 14.698,91per commercianti

Versamento a saldo. Il contributo è calcolato sulla totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini IRPEF (e non soltanto su quello derivante dall'attività che dà titolo all'iscrizione nella gestione di appartenenza), ed è rapportato ai redditi d'impresa prodotti nello stesso anno al quale il contributo si riferisce (quindi, per i contributi dell'anno 2011, ai redditi 2011 da denunciare al fisco nel 2012).

In conseguenza di quanto sopra, qualora la somma dei contributi sul minimale e di quelli a conguaglio versati alle previste scadenze sia inferiore a quanto dovuto sulla totalità dei redditi d'impresa realizzati nel 2011, è dovuto un ulteriore contributo a saldo da corrispondere entro i termini di pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche.

Imprese con collaboratori. Se il titolare si avvale anche dell'attività di familiari collaboratori, i contributi eccedenti il minimale devono essere determinati nella seguente maniera:

a) imprese familiari legalmente costituite: sia i contributi per il titolare, sia quelli per i collaboratori debbono essere calcolati tenendo conto della quota di reddito denunciata da ciascuno ai fini fiscali;

b) aziende non costituite in imprese familiari: il titolare può attribuire a ciascun collaboratore una quota del reddito denunciato ai fini fiscali; in ogni caso, il totale dei redditi attribuiti ai collaboratori non può superare il 49% del reddito globale dell'impresa; i contributi per il titolare e per i collaboratori devono essere calcolati tenendo conto della quota di reddito attribuita a ciascuno di essi.

Affittacamere e produttori di assicurazione di terzo e quarto gruppo. Coloro che esercitano l'attività di affittacamere ed i produttori di terzo e quarto gruppo iscritti alla gestione dei commercianti, non sono soggetti all'osservanza del minimale annuo di reddito; di conseguenza gli stessi sono tenuti al solo versamento dei contributi a percentuale calcolati sull'effettivo reddito, maggiorati dell'importo della contribuzione, dovuta per le prestazioni di maternità, pari a 0,62 euro mensili.

Termini e modalità di versamento. I contributi devono essere versati, come è noto, tramite i modelli di pagamento unificato F24, alle scadenze che seguono:

- 16 maggio, 16 agosto, 16 novembre 2011 e 16 febbraio 2012, per il versamento delle quattro rate dei contributi dovuti sul minimale di reddito;

- entro i termini previsti per il pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche in riferimento ai contributi dovuti sulla quota di reddito eccedente il minimale, a titolo di saldo 2010, primo acconto 2011 e secondo acconto 2011.

(INPS - Circ. n. 34 del 10 febbraio 2011

RICORSI AVVERSO L'INPS: SOLO IN VIA TELEMATICA

A partire dal 21 febbraio 2011 l'istanza relativa ai ricorsi amministrativi contro gli atti dell'INPS va presentata solo in via telematica attraverso una delle seguenti modalità:

1) in via diretta dal cittadino, dotato di PIN, tramite accesso al sito Internet dell'Istituto (www.inps.it) e successivamente ai «servizi online»;

2) tramite gli Enti di patronato e gli altri soggetti abilitati all'intermediazione sempre attraverso i servizi telematici dell'Istituto, da loro utilizzati.

È comunque previsto un periodo transitorio di 60 giorni durante il quale saranno garantite le consuete modalità di presentazione dei ricorsi. Al termine del periodo transitorio l'impiego del canale telematico diventerà esclusivo ai fini della presentazione delle istanze in oggetto.

Ricorso diretto. Il servizio di presentazione dei ricorsi amministrativi, «Ricorsi online», è disponibile sul sito Internet dell'Istituto (www.inps.it) ed è raggiungibile attraverso il seguente percorso: Servizi on-line - per tipologia di utente - cittadino - ricorsi on-line.

L'accesso alla procedura avverrà dopo la necessaria autenticazione inserendo il codice fiscale ed il PIN personale; successivamente, il cittadino dovrà:

a) compilare le schede della procedura (provvedimento, dati del ricorrente, ricorso, ecc.) secondo il percorso guidato;

b) allegare il ricorso amministrativo debitamente sottoscritto, precedentemente digitalizzato tramite scanner, e separatamente eventuali altri allegati in formato digitale.

Tramite patronati e intermediari. Anche la presentazione dei ricorsi amministrativi da parte degli Enti di patronato e degli altri intermediari abilitati avviene, previa autenticazione e verifica delle credenziali elettroniche di identificazione, mediante accesso alla procedura «Ricorsi online» disponibile sul sito www.inps.it. Gli utenti utilizzeranno il PIN in possesso e lo specifico profilo assegnato. Effettuato l'accesso alla procedura, predisporranno i ricorsi compilando le schede previste. Per tutti gli aspetti di ordine tecnico sarà possibile contattare, anche tramite connessione diretta dalla procedura stessa, il call-center INPS, che risponde al numero telefonico 803164, dalle ore 8 alle ore 20 dal lunedì al venerdì e, il sabato, dalle ore 8 alle 14.

In alternativa si potrà utilizzare il servizio «INPS risponde» sul sito istituzionale per l'invio di segnalazioni via web.

INPS - Circ. n. 32 del 10 febbraio 2011

Collegato Lavoro e maxisanzione: dpl e inail in contrasto

L’articolo 4, comma 1 del Disegno di Legge n. 1441-quarter [c.d. ‘Collegato Lavoro’], definitivamente approvato in data 19 ottobre 2010, introduce importanti modifiche all’impianto sanzionatorio in materia di impiego di lavoro irregolare.

La norma va a ridefinire la disciplina sanzionatoria dovuta alla presenza in azienda di lavoro irregolare, introdotta dall’articolo 3 comma 3 del Decreto Legge 22 febbraio 2002, n. 12 e successivamente modificata dall’articolo 36-bis, comma 7, del Decreto Legge 4 luglio 2006, n.223, convertito con modificazioni in Legge 4 agosto 2006, n. 248.

Il c.d. ‘Collegato Lavoro’ oltre a rimodulare le misure previste per le sanzioni amministrative, prevede che, ai sensi del medesimo articolo 4 ‘all’irrogazione delle sanzioni amministrative di cui al comma 3, provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza’.

Di fatto, all’irrogazione della maxisanzione possono provvedere anche gli ispettori degli Enti previdenziali.

Ai sensi della predetta norma, i vari istituti si sono adoperati per delineare le istruzioni operative applicabili alla nuova normativa: in particolar modo il Ministero del Lavoro nonché l’ I.N.A.I.L., hanno fornito le relative istruzioni esplicative delle norma, andando di fatto a definire soluzioni interpretative del tutto opposte.

1. La Maxisanzione per lavoro nero: Ministero e INAIL

Come noto, l’articolo 4, comma 1, del già citato Collegato-Lavoro sostituisce il testo dell’articolo 3, comma 3, del D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, così come modificato dall’articolo 36-bis del D.L. 4 luglio 2006, n.223.

La nuova formulazione dell’articolo 3 prevede che, qualora il datore di lavoro privato, con esclusione del datore di lavoro domestico, provveda all’assunzione di lavoratori subordinati senza dare preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro al centro per l’impiego, è punito con una:

- sanzione amministrativa ricompresa tra € 1.500,00 ed € 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di € 150,00 per ciascuna giornata di effettivo lavoro;
- sanzione civile, maggiorata del 50% sulle sanzioni civili ordinariamente dovute per l’evasione contributiva. Ai sensi dell’articolo 116, comma 8, lettera b) della Legge 23 dicembre 2000, n. 388, le sanzioni civili ordinariamente dovute sono, in ragione d'anno, pari al 30% dell'importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge e non possono superare il 60%.

Inoltre, qualora il datore di lavoro obbligato abbia provveduto alla regolarizzazione per proprio conto, ovvero nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo, è soggetto ad una sanzione amministrativa in misura ridotta, ricompresa tra € 1.000,00 ed € 8.000,00 per ciascun lavoratore, maggiorata di € 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare.

La novità più rilevante consiste nella limitazione della sanzione ai lavoratori subordinati per i quali non sia stata effettuata la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro. In ogni caso, la sanzione non trova applicazione qualora il datore di lavoro evidenzi la volontà di non occultare il rapporto.

Secondo il Ministero infatti anche qualora non vi sia comunicazione preventiva al C.P.I., l’ispettore dovrà analizzare la natura del rapporto e solo dopo aver qualificato la natura subordinata dello stesso, provvederà a irrogare la sanzione.

Ma cosa succede qualora la comunicazione preventiva non è normalmente prevista?
Di fatto ,la normativa vigente prevede dei casi in cui non sussiste l’obbligo di comunicazione preventiva al Centro per l’impiego ma la sola denuncia preventiva all’I.N.A.I.L. [Articolo 23 del T.U. 1124/1965].

Di fatto per:

- i coniugi, figli naturali o adottivi, gli altri parenti, affini, affiliati, affidati del datore di lavoro che prestino con o senza retribuzione alle di lui dipendenze opera manuale, ed anche non manuale;
- soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata, costituita od esercitata, i quali prestino opera manuale oppure non manuale;
la Legge n. 133/2008 ha previsto solo una comunicazione anticipata all’I.N.A.I.L.
L’assenza della comunicazione preventiva all’I.N.A.I.L. ha pertanto prodotto interpretazioni diverse a carico dei diversi enti:
- in particolar modo per il Ministero del Lavoro, nei suddetti casi, l’assenza di comunicazione preventiva all’inail comporta una presunzione di lavoro subordinato, con conseguente irrogazione della maxisanzione senza indagare sulla natura del rapporto.
- Diversamente, l’inail ha previsto che la maxisanzione può trovare applicazione solo nei casi in cui sarà accertato che il rapporto di lavoro ha le caratteristiche del lavoro subordinato. Pertanto, a seguito di ispezione accertante la mancata denuncia all’inail per i soggetti sopraelencati, l’istituto non comminerà la maxisanzione per lavoro nero, in quanto qualificherà il rapporto non come lavoro subordinato. L’unica sanzione che potrà essere irrogata sarà quella di cui l’art. 23 per omessa denuncia Inail.

Di fatto, il far dipendere la sussistenza del lavoro subordinato da un mero requisito formare, appare contestabile: di fatto il Ministero, operando una presunzione di lavoro subordinato a seguito di mancanza di un requisito formale, va a qualificare in lavoro subordinato delle tipologie che di fatto non rientrano nella fattispecie.

Pertanto, in base alle suddette considerazioni è opportuno che le diverse amministrazioni addivengano a una linea comune, in quanto l’uniformità dell’applicazione della norma è una esigenza fondamentale anche al fine di evitare inutili contenziosi.

sabato 19 febbraio 2011

TRASPORTO SU STRADA: L’ADEGUAMENTO DELLE SANZIONI

Il Ministero della giustizia ha provveduto all’adeguamento biennale delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal Codice della Strada, con decorrenza dal 1° gennaio 2011.
L’art. 195, comma 3, D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della Strada) infatti stabilisce che:
«la misura delle sanzioni amministrative pecuniarie è aggiornata ogni due anni in misura pari all’intera variazione, accertata dall’Istat, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nei due anni precedenti. All’uopo, entro il 1° dicembre di ogni biennio, il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con i Ministri del tesoro, dei lavori pubblici, dei trasporti e per i problemi delle aree urbane fissa, seguendo i criteri di cui sopra, i nuovi limiti delle sanzioni amministrative pecuniarie, che si applicano dal 1° gennaio dell’anno successivo».

Sulla base della variazione individuata dall’Istat (pari al 2,4%.), con riferimento al biennio considerato, il decreto del Ministero della Giustizia del 22 dicembre 2010 (G.U. n. 305 del 31 dicembre 2010), ha definito gli importi adeguati, decorrenti dal 1° gennaio 2011, delle sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti a violazioni del Codice della Strada.
Con lo stesso decreto si è inoltre provveduto allo «arrotondamento all’unità di euro», per eccesso nei casi di frazione decimale pari o superiore a 50 centesimi di euro, per difetto nei casi di frazione decimale inferiore a 50 centesimi di euro.

L’adeguamento per il biennio 2011/2012, riguarda, principalmente le violazioni in materia di cronotachigrafo, le violazioni riguardanti l’utilizzo dell’apparecchio e dei fogli di registrazione e le violazioni delle disposizioni relative al modulo di controllo delle assenze, di cui al D. Lgs. n. 144/2008.


VIOLAZIONI IN MATERIA DI CRONOTACHIGRAFO

Le violazioni in materia di cronotachigrafo (quali: guida di un autoveicolo sprovvisto di cronotachigrafo, o con apparecchio di controllo non conforme o manomesso; guida senza foglio di registrazione o senza carta del conducente), di cui all’art. 179, comma 2, del D. Lgs. n. 285/1992, sono sanzionate, a carico del conducente, dallo stesso art. 179, comma 2, del D. Lgs. n. 285/1992, con la pena amministrativa pecuniaria da 798,00 a 3.194,00 euro (biennio 2011/2012) per ciascun illecito commesso e con la decurtazione di 10 punti patente.

VIOLAZIONI IN MATERIA DI UTILIZZO DEI SISTEMI DI REGISTRAZIONE

Le violazioni riguardanti l’utilizzo dell’apparecchio e dei fogli di registrazione, di cui agli artt. 13, 14, 15 e 16 del regolamento Cee n. 3821/1985, sono punite, sia a carico del conducente sia dell’impresa, dagli artt. 18 e 19 della legge n. 727/1978, con la sanzione amministrativa di 24,00 euro (biennio 2011/2012), per ciascun illecito commesso.
VIOLAZIONE DELLE DISPOSIZIONI RELATIVE AL MODULO DI CONTROLLO DELLE ASSENZE

Le sanzioni per violazione delle disposizioni relative al modulo di controllo delle assenze, di cui all’art. 9 commi 2, 4, 5 D. Lgs. n. 144/2008 sono punite, sia a carico del conducente sia dell’impresa (biennio 2011/2012), con la sanzione amministrativa da 146,00 a 584,00 euro per ciascun illecito commesso.

venerdì 18 febbraio 2011

17 marzo 2011 sarà festa nazionale

Il Consiglio dei Ministri tenutosi oggi ha stabilito che il 17 marzo sarà festa nazionale per celebrare la ricorrenza dei 150 anni dall'Unità d'Italia. Nella stessa seduta il Consiglio ha stabilito che al fine di evitare nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica e delle imprese private, per il solo anno 2011 gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre non si applicano a tale ricorrenza ma, in sostituzione, alla festa nazionale per il 150/o anniversario dell'Unità d'Italia». Il 4 novembre, dunque, non verrà pagato come festività soppressa.

Consiglio dei Ministri - Comunicato 18/02/2011

Esonerato il lavoratore dalla consegna del certificato medico se questo è telematico

La Fondazione Studi dei CDL, con la circolare 17/02/2011 n.2, ha ricordato chi sono i soggetti nei cui confronti trova applicazione l’invio del certificato medico tramite procedura telematica, quali sono le modalità operative ed il regime sanzionatorio applicabile in caso di inosservanza dell’obbligo da parte del medico.

Tra i diversi passaggi della circolare merita di essere evidenziato quello sulla giustificazione dell’assenza. Ricorda in particolare la Fondazione Studi che per effetto del DL 663/1979 (L. 33/1980), il lavoratore è tenuto entro due giorni dal relativo rilascio, a recapitare o a trasmettere al datore di lavoro, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, l’attestazione della malattia, rilasciata dal medico curante, a meno che l’azienda non abbia richiesto all’INPS la trasmissione in via telematica della suddetta attestazione.

In quest’ultimo caso il datore di lavoro può recuperare il certificato medico trasmesso telematicamente o accedendo sul sito dell’INPS previo accreditamento e rilascio del PIN oppure attivando la posta elettronica certificata.

Sul punto la Fondazione Studi precisa che il datore di lavoro attiva una delle due predette modalità vengono integrati i presupposti che giustificano l’esonero del lavoratore dalla relativa consegna del certificato medico. Ne consegue che il datore di lavoro, in base al principio generale di buona fede, è tenuto a comunicare al lavoratore l’esonero dalla consegna del certificato medico.

Analogo esonero riguarda anche l’obbligo di consegna del certificato medico alla sede INPS competente.

La circolare conferma la possibilità in capo al lavoratore di richiedere al proprio medico curante, anche qualora questi non sia un medico del SSN o con esso convenzionato, la certificazione attestante lo stato di incapacità lavorativa.

Infine relativamente al regime sanzionatorio, per i medici dipendenti delle strutture sanitarie locali viene stabilita una precisa responsabilità disciplinare che, in caso di reiterazione, può culminare anche con il licenziamento. Per i medici convenzionati, invece, viene prevista la sanzione aggravata della decadenza dalla convenzione, che, tuttavia, potrà essere comminata solo in caso di reiterazione.

Fondazione Studi CDL - Circolare 17/02/2011 n. 2

Avviso di addebito e possibili conseguenze al mancato pagamento dei contributi

L’INPS, con il messaggio 16/02/2011 n.3881, facendo seguito alla circolare 168/2010, ha fornito ulteriori precisazioni in merito alla formazione dell’avviso di addebito all’esito di accertamento ispettivo che ha rilevato omissioni contributive.

In particolare l’Istituto previdenziale evidenzia che il termine di 90 giorni decorrente dalla notifica dell’atto di accertamento entro il quale deve essere formato l’avviso di addebito ricorre sia nel caso in cui non sia stata data ottemperanza, mediante il pagamento del debito contestato, alla diffida di regolarizzazione sia nel caso in cui sia mancata la proposizione di ricorso amministrativo nei termini fissati dalla normativa vigente, in relazione alla natura dell'obbligo contributivo.

Poiché il contribuente può tenere comportamenti differenti durante i predetti 90 giorni, l’INPS individua tre possibili scenari con le relative conseguenze.
Nel primo caso il trasgressore, o l’eventuale obbligato in solido, paga il debito contestato entro 30 giorni dalla notifica del verbale ispettivo avente ad oggetto illeciti diffidabili. In questa ipotesi il contribuente è ammesso, nei 15 giorni successivi alla scadenza del suddetto termine perentorio, al pagamento delle sanzioni amministrative nella misura minima prevista dalla legge, compresa la maxisanzione contro il lavoro sommerso.

Il pagamento delle sanzioni entro il termine previsto estingue il procedimento sanzionatorio.
Nel secondo caso invece il trasgressore, o l’eventuale obbligato in solido, potrebbe pagare il debito contestato dal 31° giorno dalla notifica del verbale ispettivo avente ad oggetto illeciti diffidabili. In questa ipotesi non può più fruire del pagamento delle sanzioni amministrative in misura minima, ma sarà ammesso a regolarizzare la sanzione amministrativa nella misura ridotta di cui all’art. 16 della Legge n. 689/1981.

Se invece trascorrono i 90 giorni dalla notifica del verbale ispettivo senza che sia avvenuto il pagamento (ovvero sia stato proposto nei termini il ricorso amministrativo) si procede alla formazione dell’avviso di addebito.

I crediti inseriti nell’avviso di addebito vengono affidati all’Agente della Riscossione che procede al recupero del credito.

Gli importi sono maggiorati dell’aggio pari al 4,65% dell’importo dovuto a titolo di contributi e somme aggiuntive, nel caso in cui il pagamento sia effettuato al competente AdR entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso di addebito oppure al 9% qualora lo stesso avvenga oltre il predetto termine.

In mancanza di pagamento l'Agente della Riscossione procede ad espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le modalità che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.

INPS - Messaggio 16/02/2011 n. 3881

giovedì 17 febbraio 2011

Verbale unico ministeriale: scompare la parte contributiva e i problemi non mancano

L’articolo 33 della Legge 4 novembre 2010, n. 183 [‘Collegato Lavoro’] introduce importanti novità in merito l’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale.
La sopracitata norma va a sostituire l’articolo 13 del D.Lgs. 124/2004 introducendo per la prima volta una disciplina di dettaglio sulla verbalizzazione dell’attività svolta dal personale ispettivo e modificando profondamente la procedura di diffida obbligatoria.

Il Collegato Lavoro ha di fatto introdotto ufficialmente il c.d. ‘Verbale unico di accertamento e notificazione’, già introdotto dal D.Lgs. n. 124/2004 e reso ufficialmente operativo con la Legge 4 novembre 2010, n. 183.

Come noto, ai sensi dell’articolo 33, della Legge 4 novembre 2010, n. 183 in caso di constatata inosservanza di norme di legge, ovvero dei contratti collettivi dai quali derivino sanzioni amministrative, il personale ispettivo può provvedere a diffidare il trasgressore [o eventualmente all’obbligato in solido] alla regolarizzazione delle inosservanze entro il termine di 30 giorni dalla data di notificazione del verbale.

L’ammissione alla procedura di diffida e la contestazione delle violazioni amministrative è effettuata mediante la notifica al trasgressore di un unico verbale di accertamento e notificazione [‘verbale unico’].

Il verbale unico, obbligatoriamente, deve contenere [ Articolo 33, l. 183/2010]:

1. gli esiti dettagliati dell’accertamento, con puntuale indicazione delle fonti prova degli illeciti rilevati;
2. la diffida a regolarizzare gli adempimenti sanabili, entro il termine di 30 giorni dalla notifica del provvedimento;
3. la possibilità di estinguere gli illeciti ottemperando alla diffida e provvedendo al pagamento della sanzione in misura minima nei termini stabiliti dalla legge;
4. l’ammissione al pagamento della sanzione ridotta, pari al doppio del minimo o ad un terzo del massimo, perle violazioni non sanate o non sanabili, entro il termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento;
5. l’indicazione degli strumenti di difesa e degli organi ai quali proporre ricorso, con specificazione dei termini di impugnazione.

Il sopracitato Collegato Lavoro ha di fatto unificato moduli differenti: nella previgente formulazione infatti, diffida, verifica dell’ottemperanza e contestazione dell’illecito avvenivano in modo separato, anche temporalmente.

In ogni caso il nuovo modello di verbale unico ministeriale è caratterizzato da lacune rispetto ai modelli previgenti.

Come notto, il D.Lgs. 124/2004 prevedeva la possibilità agli istituti di avvalersi di verbali di altri enti per l’adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori, amministrativi e civili, senza procedere a ulteriore propria verifica di accertamento. Per quanto riguarda il verbale unico di accertamento, le varie amministrazioni potevano avvalersi dello stesso in quanto le precedenti versioni del verbale riportavano espressamente una parte dedicata agli addebiti contributivi.

Ad oggi, analizzando il nuovo modello introdotto con circolare n. 41/2010, la parte relativa ai contributi di fatto scompare. Questa omessa indicazione comporta delle conseguenze serie in materia di verifiche ispettive: di fatto, un verbale che non riporti gli imponibili non è più direttamente utilizzabile dai vari enti, i quali dovranno pertanto disporre un nuovo incarico ispettivo, finalizzato al calcolo dei dati omessi.In secondo luogo, una verbalizzazione che obblighi il datore di lavoro ispezionato a subire una nuova verifica per i dati omessi è di fatto contraria allo spirito delle norme in materia di vigilanza.

Per ovviare a questo problema, in ogni caso, la mancanza esplicita di una parte del modello dedicata agli imponibili non impedisce agli ispettori di riportare nel corpo del verbale i dati contributivi.

Al riguardo, di fronte alle suddette problematiche non si può che aspettare eventuali indicazioni da parte del Ministero.

Minori extraue: la conversione del permesso in lavoro subordinato

Come noto, il vigente ordinamento in tema di disciplina dell’immigrazione prevede che ‘il figlio minore dello straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante è iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori fino al compimento del quattordicesimo anno di età e segue la condizione giuridica del genitore con il quale convive, ovvero la più favorevole tra quelle dei genitori con cui convive. Fino al medesimo limite di età il minore che risulta affidato ai sensi dell' articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184 è iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dello straniero al quale è affidato e segue la condizione giuridica di quest'ultimo, se più favorevole.

L'assenza occasionale e temporanea dal territorio dello Stato non esclude il requisito della convivenza e il rinnovo dell'iscrizione’ [ Articolo 31 comma 1 D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286].
‘Al compimento del quattordicesimo anno di età al minore iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno del genitore ovvero dello straniero affidatario è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore età, ovvero una carta di soggiorno’.

Al raggiungimento della maggiore età, al figlio minore dello straniero nonché al minore affidato, può essere rilasciato un permesso di soggiorno:

- per motivi di studio;
- di lavoro subordinato;
- di lavoro autonomo.

Al contrario, il riconoscimento della conversione del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, autonomo ovvero per studio, ai minori stranieri non accompagnati – ovvero presenti sul territorio nazionale senza persone adulte di riferimento di cui all’art. 1 comma 2 del D.P.C.M. n. 535/1999 - può essere concesso, al raggiungimento della maggiore età alle seguenti condizioni [Articolo 32, comma 1bis e 1ter, D.Lgs. 25 luglio 1998, n.286 :
• il neomaggiorenne si trovi in Italia da almeno 3 anni;
• lo straniero sia stato ammesso per un periodo non inferiore di due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale];
• lo straniero ha la disponibilità di un alloggio;
• lo stesso frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato.

Il Tar Lazio, con sentenza 7 ottobre 2010, n. 32718 è intervenuto sulla questione. In particolar modo si è pronunciato sulla conversione del permesso di soggiorno di un minore entrato come non accompagnato ma successivamente affidato ad una famiglia italiana.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha di fatto affermato che la conversione del permesso di soggiorno del minore ‘comunque affidato’, ovvero affidato sin dall’ordine dell’ingresso ovvero successivamente ad altro soggetto o a un istituto o ente, in permesso di soggiorno per motivo di lavoro ovvero di studio spetta al compimento della maggiore età a prescindere dalla frequenza di un progetto di integrazione sociale e a prescindere che vi sia stata un presenza regolare sul territorio italiano per almeno 3 anni.

Di fatto secondo il suddetto Tribunale ‘ai fini della conversione del permesso di soggiorno rilasciato ad un cittadino extracomunitario di minore età diventato poi maggiorenne, l’articolo 32 del D.Lgs. n. 286/1998 va interpretato nel senso che i commi 1-bis e 1-ter integrano una fattispecie distinta da quella del primo comma, con la conseguenza che le condizioni richieste in tali commi non si cumulano con quelle del primo comma, idonee autonomamente a consentire la conversione del permesso’.

L'indennizzo dei lavoratori a termine al giudizio di costituzionalità

L’indennizzo dei lavoratori a termine al giudizio di costituzionalità
Con sentenza 28 gennaio 2011, n. 2112, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 32, commi 5 e 6 della Legge 4 novembre 2010, n. 183. In particolar modo è stato rimesso alla corte la questione di legittimità dell’articolo 32, nella parte in cui nei casi di conversione a tempo indeterminato dovuto a illegittima apposizione del termine, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Dopo aver premesso che la nuova normativa sui contratti a termine si applica a ‘tutti i giudizi compresi quelli pendenti alla data di entrata di entrata della Legge’, incluso quello in Cassazione, la Corte osserva che ‘l’illegittima apposizione del termine non incide sulla continuità del rapporto’, e pertanto l’indennità risarcitoria è aggiuntiva e non sostitutiva alla sanzione della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

In ogni caso, l’applicazione di una indennità onnicomprensiva a titolo di risarcimento del danno - in alternativa all’integrale risarcimento consistente nelle retribuzioni dalla data di cessazione del rapporto sino alla sua ripresa, decurtato quanto eventualmente percepito da altra attività lavorativa – esclude di fatto l’applicazione di qualsiasi altro credito del lavoratore, indennitario o risarcitorio che sia.

Pertanto, la suddetta disposizione contenuta nell’articolo 31 del c.d. ‘Collegato Lavoro’ contrasterebbe con gli articoli 3 comma 2, art.4 , 24, 111 e 117 Costituzione.
Di fatto, la liquidazione di un’indennità contenuta in poche mensilità retributive, è in contrasto con :

- il principio di ragionevolezza nonché di effettività del rimedio giurisdizionale espressi negli articoli 3, 24 e 111 Cost. ; in particolar modo tenendo presente che la negazione del risarcimento in misura pari alle retribuzione perdute fino al momento dell’effettiva riammissione in servizio, stante l’incertezza della durata del processo e il conseguente aumento del danno con la decorrenza del tempo, vanifica il diritto del cittadino al lavoro e nuoce all’effettività della tutela giurisdizionale, in quanto ‘il principio affermato da quasi secolare dottrina processualista, oggi espresso dagli artt. 24 e 111,Cost. esige l’esatta, per quanto materialmente possibile, corrispondenza tra la perdita conseguita alla lesione del diritto soggettivo e il rimedio ottenibile in sede giudiziale’.Infatti, ‘la liquidazione di un'indennità eventualmente sproporzionata per difetto rispetto all'ammontare del danno può indurre il datore di lavoro a persistere nell'inadempimento, eventualmente tentando di prolungare il processo oppure sottraendosi all’esecuzione della sentenza di condanna, non suscettibile di realizzazione in forma specifica’.

- L’obbligo internazionale assunto dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo il cui articolo 6, nel volere il diritto di ogni personale al giusto processo, impone al potere legislativo di non intromettersi nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla decisione di una singola controversia o un gruppo di esse [Articolo 117 Cost.];

- Il diritto al lavoro del cittadino, di cui all’articolo 4 Cost. in quanto ‘la sproporzione fra la tenue indennità ed il danno, che aumenta con la permanenza del comportamento illecito del datore di lavoro, sembra in contrasto con la direttiva CE/1999/70 che impone di sanzionare l’utilizzazione abusiva dei rapporti di lavoro a termine.

Alla luce delle suddette argomentazioni, la limitazione dell’indennità operata ai sensi dell’articolo 35 della Legge n. 183/2010 non sembra giustificata e pertanto la Corte ha previsto la sospensione del giudizio.

mercoledì 16 febbraio 2011

Detassazione fiscale del 10% sulle somme incentivanti - obbligo accordo sindacale

La circolare congiunta n. 3/2011 diffusa ieri dall'Agenzia delle Entrate e dal Ministero del Lavoro, ha definitivamente sancito l'obbligo della presenza sindacale per lo stipula del contratto collettivo aziendale o territoriale necessario per applicare la detassazione fiscale del 10% sulle somme incentivanti. La stessa circolare ricorda che in Italia esiste il principio generale di libertà sindacale in virtù del quale non esiste un onere di tipo formale per la conclusione degli accordi. In questa ottica – è stato spiegato – possono concorrere a incrementi di produttività anche accordi collettivi non necessariamente prodotti in forma scritta «e cionondimeno riconducibili, a livello di fonti del diritto, al generale principio di libertà di azione sindacale di cui all'articolo 39 della Costituzione».

Si pone ora la questione dell'applicabilità del beneficio fiscale anche per i dipendenti delle piccole e micro imprese o piccoli studi professionisti nelle cui realtà generalmente non è presente un sindacato. In questi casi, il beneficio è comunque possibile. Infatti, anche in queste realtà è ammesso il recepimento del contratti territoriali in base ai principi generali sopra richiamati senza necessariamente avere un confronto sindacale diretto.

Da un punto di vista operativo funziona così: il datore di lavoro e i lavoratori sottoscrivono un accordo (singolarmente o con la generalità) che recepisce il contratto territoriale (regionale, provinciale o accordi quadro). Per le aziende non iscritte alle organizzazioni sindacali firmatarie, il recepimento può riguardare anche solo alcune clausole dell'accordo territoriale con espressa esclusione delle altre. Il presupposto per questo comportamento è che le parti sociali provvedano tempestivamente a modificare gli accordi territoriali introducendo le clausole (che poi verranno recepite in azienda nella forma sopra indicata) che disciplinano la detassazione.

Il Sole 24 ORE di mercoledì 16 febbraio 2011

martedì 15 febbraio 2011

Visite mediche di controllo della malattia mediante Data Mining: le nuove indicazioni

L’Inps, con circolare n. 26 datata 8 febbraio 2011, fornisce indicazioni sulla nuova procedura per la gestione delle visite mediche di controllo.

Con la Legge n. 183/2010, in tutto il settore pubblico e privato, al fine di assicurare un quadro completo delle assenze per malattia nonché un efficace sistema di controllo delle stesse, si applicano ai dipendenti le stesse disposizioni impartite con D.Lgs. n. 150/2009.

A seguito, quindi, dell’entrata in vigore del citato decreto interministeriale, i medici curanti hanno avviato le operazioni di predisposizione e di invio dei dati dei certificati di malattia attraverso la modalità telematica con un flusso certificativo che appare oggi in progressivo graduale aumento.

Come sottolinea la stessa Inps, grazie all’elaborazione di nuovi applicativi finalizzati alla massima automazione e attraverso il coinvolgimento di tutte le funzioni aziendali, ha preso avvio un programma di razionalizzazione complessiva rivolto, in primo luogo, a favorire l’integrazione delle procedure gestionali esistenti, con l’obiettivo di conseguire progressivi benefici in termini di efficienza ed efficacia, nonché a telematizzare l’intero processo.

In particolare la circolare evidenzia come le nuove modalità di invio telematico dei certificati medici permetteranno all’Istituto una gestione più razionale delle visite medico legali.

L’istituto comunica inoltre che presso le sedi Inps è operativa una procedura interna chiamata Data Mining, che permette di individuare gli eventi di malattia da sottoporre a controllo non solo per i casi in cui si presenti il rischio del lavoratore idoneo a tornare al lavoro, ma anche per le malattie insussistenti o
le prognosi più favorevole del previsto.

La circolare chiarisce che le visite programmate dal software saranno messe in successione a richieste dal datore di lavoro, a quelle ritenute necessarie dal medico legale o preordinate al livello centrale.

INPS: lavoro occasionale accessorio - gestione segnalazioni e chiarimenti operativi

L’INPS, con messaggio n. 3598 del 11 febbraio 2011, ha fornito le indicazioni operative sull’avvio del nuovo sistema organizzativo di trattamento delle richieste di chiarimenti o di intervento provenienti da utenti interni ed esterni, per quanto attiene il lavoro occasionale accessorio, attivo dal 15 febbraio 2011.

In referenti regionali saranno chiamati a svolgere - oltre alla funzione di tipo organizzativo/logistica, relativa alla distribuzione dei voucher cartacei alle sedi territoriali - le funzioni di:
• consulenza ad utenti interni ed esterni per problematiche applicative o operative relative al sistema di regolamentazione e di gestione del lavoro occasionale;
• interfaccia tra Direzione generale e sedi operative in caso di diffusione di comunicazioni o indicazioni operative;
• interfaccia con Associazioni di categoria, intermediari, Enti locali, ecc., per consulenza sull’impiego corretto dei buoni lavoro;
• segnalazione di situazioni anomale di utilizzo dei voucher per verifiche amministrative/ispettive.

Le sedi regionali, diventeranno le destinatarie delle segnalazioni provenienti dalle sedi territoriali di competenza e da utenti esterni residenti o operanti nella regione, che invieranno le mail a caselle di posta regionali denominate lavoro.occasionale.nome regione@inps.it , predisposte dalla D.C. Sistemi informativi e tecnologici, che saranno indirizzate ai referenti regionali.

Inoltre, per completare il processo di decentramento operativo, consentendo una gestione più completa e autonoma da parte delle Sedi e quindi un servizio più diretto e immediato agli utenti, sono disponibili nuove funzionalità della procedura di gestione relative a:
• Modifica parametri della registrazione del bollettino di versamento;
• Modifica anagrafica del prestatore in fase di conferma dei dati anagrafici;
• Verifica ‘stato dei prestatori’;
• Presenza di funzioni relative a ‘Estratto conto prestatori’ e ‘Estratto conto committenti’;
• Riemissione bonifici domiciliati stornati per trascorsi limiti di pagabilità.

Minorenni: riposo settimanale

Come noto, il vigente ordinamento tutela espressamente il lavoro prestato da parte di un soggetto minorenne [ Legge n. 977/1967].

In particolar modo, il legislatore ha disposto particolari tutele in materia di orario di lavoro e di riposi per il minore che presti attività di lavoro subordinato. Di fatto, ai sensi dell’articolo 22 della predetta Legge – così come modificato dall’articolo 13 del D.Lgs. n. 345/1999, ‘ai minori deve essere assicurato un periodo di riposo settimanale di almeno due giorni, se possibile consecutivi, e comprendente la domenica. Per comprovate ragioni di ordine tecnico e organizzativo, il periodo minimo di riposo può essere ridotto, ma non può comunque essere inferiore a 36 ore consecutive. Tali periodi possono essere interrotti nei casi di attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati o di breve durata nella giornata. Ai minori impiegati in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario o nel settore dello spettacolo, nonché, con esclusivo riferimento agli adolescenti, nei settori turistico, alberghiero o della ristorazione, il riposo settimanale può essere concesso anche in un giorno diverso dalla domenica’.

Pertanto dalla disposizione sopracitata si rileva che per:

- i minori in genere, nelle attività lavorative di carattere culturale, artistico sportivo, pubblicitario o nel settore dello spettacolo, ovvero
- i soli adolescenti, nei settori turistico, alberghiero o della ristorazione
è ammessa la possibilità di concedere il riposo settimanale in un giorno diverso dalla domenica.
Di fatto il legislatore, attraverso il comma 3 dell’art. 13 d.lgs. n.345/1999, deroga alla norma generale in materia di riposo settimanale per i minori disponendo che per determinati settori, incluso quello della ristorazione, per il lavoratore minore vi è la possibilità di concessione del riposo settimanale anche in un giorno diverso dalla domenica.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con risposta di interpello 22 dicembre 2010, n. 45 – riaffronta la suddetta questione: in particolar modo è stato chiesto il parere ministeriale in merito alla possibilità, per gli adolescenti impiegati presso imprese che producono pasta fresca artigianale, della fruizione del riposo settimanale in un giorno diverso dalla domenica.

Ai sensi degli articoli 3 e 5 della Legge n. 287/1991, nonché del C.C.N.L. del Turismo e Pubblici esercizi tra le attività di ristorazione di cui sopra possono essere annoverate ‘oltre che i ristoranti tradizionalmente intesi ovvero fast foods, trattorie, tavole calde e anche i caffè, bar, snack bar, negozi di pasticceria e confetteria nonché ogni altro esercizio dove si somministrano alimenti e bevande’.

Inoltre, con Circolare n. 1/2000, il Ministero aveva di fatto aveva chiarito che la deroga al riposo domenicale poteva essere concessa ‘per gli adolescenti delle attività nei settori turistico alberghiero e della ristorazione –ivi compresi bar, gelaterie, pasticcerie – attività per le quali il maggior carico di lavoro si concentra spesso nella domenica’.

Secondo le suddette considerazioni, il Ministero del Lavoro ha pertanto ritenuto legittimo assimilare e ricomprendere nel settore della ristorazione anche la produzione di paste fresche artigianali.

Pertanto, essendo la ristorazione una casistica rientrante nelle eccezioni di legge, è possibile concedere al minore il riposo settimanale in un giorno diverso da quello della domenica.

lunedì 14 febbraio 2011

Rivisti i limiti di reddito per gli assegni familiari e le maggiorazioni di pensione

Azioni a supporto della ricollocazione di manager over 50 in stato di disoccupazione

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in collaborazione con Federmanager e Manageritalia, ha predisposto una serie di incentivi alle aziende che, a partire dal 21 dicembre 2010 e non oltre il 30 novembre 2011, assumano dirigenti over 50 disoccupati.

L’incentivo stanziato a favore delle imprese consterà di un bonus di importo variabile a seconda del contratto di lavoro effettivamente sottoscritto con il lavoratore disoccupato. Di fatto il suddetto contributo sarà pari a:

- € 10.000,00 per ogni dirigente assunto con contratto a tempo indeterminato o a tempo determinato di almeno 24 mesi;
- € 5.000,00 per ogni dirigente assunto con contratto a termine di almeno 12 mesi;
- € 5.000,00 per ogni dirigente assunto con contratto di collaborazione a progetto di almeno 12 mesi.

La domanda di incentivo dovrà essere inoltrata in modalità telematica all’indirizzo www.manager.servizilavoro.it. L’ammissione all’incentivo è subordinata alla disponibilità delle risorse stanziate dal Ministero: pertanto, ai fini di riconoscimento del bonus si farà riferimento all’ordine cronologico di presentazione delle domande stesse.

Le collaborazioni coordinate e continuative con i lavoratori extracomunitari

Com’è noto, il vigente ordinamento in materia di immigrazione prevede la possibilità di conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio sia in permesso di soggiorno per lavoro subordinato che in permesso di soggiorno per lavoro autonomo.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con nota 22 luglio 2010, n. 3361 ha precisato che, qualora il lavoratore extracomunitario voglia instaurare un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, la conversione del permesso di soggiorno da studio a lavoro autonomo sarà concessa anche qualora il rapporto instaurato si esplichi nella forma di ‘lavoro a progetto’.

1. Conversione del permesso di soggiorno da studio a lavoro subordinato o autonomo

Come noto, il nostro ordinamento prevede che uno straniero in possesso di regolare permesso di soggiorno per motivi di studio possa instaurare uno o più rapporti di lavoro subordinato, a condizione che l’attività lavorativa sia svolta ‘per un tempo non superiore a 20 ore settimanali anche cumulabili per cinquantadue settimane, fermo restando il limite annuale di 1.040 ore’ [Articolo 14, comma 4 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394].

Qualora lo straniero titolare di permesso di soggiorno per studio voglia instaurare un rapporto di lavoro subordinato eccedente i limiti suindicati, dovrà richiedere la conversione di detto permesso in un permesso di soggiorno per lavoro subordinato [Articolo 14, comma 6 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 ].

La conversione è concessa previa verifica della disponibilità di quote di ingresso e a condizione che sia stipulato il contratto di soggiorno per lavoro presso lo Sportello unico per l’immigrazione [Articolo 3 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286].

Qualora lo studente straniero intenda svolgere attività di lavoro autonomo, è ammessa la possibilità per i titolari di permesso di soggiorno per studio di svolgere brevi collaborazioni coordinate e continuative, nel limite di 1040 ore annue, analogamente a quanto previsto per il lavoro subordinato [ Ministero dell’Interno, parere 30 gennaio 2009, prot. n. 490].
Anche se la limitazione oraria può destare qualche perplessità, in relazione a una tipologia contrattuale che prescinde dal tempo impiegato e per la quale non è previsto alcun obbligo di registrazione delle ore di lavoro, tuttavia è possibile un controllo per verificare sul campo quale sia l’effettivo impegno orario del contratto, senza considerare che un impegno eccessivo risulterebbe in ogni caso incompatibile con il profitto scolastico necessario per il mantenimento e il rinnovo del permesso di studio.
Pertanto, qualora la collaborazione preveda tempi di lavoro eccedenti i limiti suindicati, è prevista la possibilità di conversione del permesso di soggiorno per studio in permesso per lavoro autonomo [Articolo 14, comma 6 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394].

L’istanza di conversione del PDS dovrà essere inoltrata per via telematica - utilizzando la modulistica reperibile sul sito del Ministero dell’Interno – Modulo Z – allo Sportello Unico per l’immigrazione del luogo di residenza del lavoratore straniero, indipendentemente dal luogo di lavoro [ Ministero dell’interno, circolare 1/2008].
L’accoglimento della stessa è subordinata al rispetto delle quote di ingresso per lavoro stabilite ogni anno, con apposito D.P.C.M nonché al possesso di tutta la documentazione prescritta dall’articolo 26 del D.Lgs. n. 286/1998 e dei requisiti di legge previsti per l’esercizio dell’attività di lavoro autonomo di cui all’ articolo 39, D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394.

Pertanto, al fine della conversione del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, sarà verificata la sussistenza dei seguenti requisiti:
- il possesso, da parte del richiedente, dell’attestazione rilasciata dall’ordine o dall’Albo professionale per l’esercizio di professioni che richiedono la suddetta documentazione nonché il possesso dell’ attestazione dell’Autorità competente, in data non anteriore a tre mesi, che dichiari che non sussistono motivi ostativi al rilascio della suddetta autorizzazione [articolo 26, comma 2 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286];
- la disposizione di idonea sistemazione alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria [articolo 26 comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286]. Il possesso dei suddetti requisiti saranno certificati rispettivamente, dal rilascio da parte della Camera di Commercio, dell’attestazione relativa all’effettivo possesso dei parametri economici sufficienti all’esercizio dell’attività di lavoro autonomo e comunque non inferiori all’importo dell’assegno sociale nonché dal rilascio, da parte della Questura, del nulla osta inerente alla disponibilità di alloggio idoneo;
- il possesso di risorse adeguate per l’esercizio dell’attività che intende intraprendere in Italia [articolo 26, comma 2 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286];
- il possesso del visto di ingresso per lavoro autonomo, apposto sul passaporto dalla rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel suo paese.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con nota 22 luglio 2010, n. 3361, ha precisato che la conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio in permesso di soggiorno per lavoro autonomo è ammessa anche quando il lavoratore straniero intenda stipulare un contratto di ‘lavoro a progetto’.

Ai fini della conversione del permesso di soggiorno, dovrà essere rilasciato parere favorevole dalla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competente che provvederà a [Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nota n. 3361/2010]:
 verificare la [eventuale] disponibilità di posizioni nell’ambito della specifica quota destinata alla conversione per lavoro autonomo nel rispettivo ambito territoriale;
 accertare, in base alla documentazione presentata dallo straniero richiedente, il carattere autonomo del contratto individuale di lavoro ai sensi degli articolo 61 e seguenti del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.

Di fatto, la limitata disponibilità di quote di fatto rende estremamente difficile riuscire ad ottenere la conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio in permesso di soggiorno per lavoro autonomo. Per ovviare a questo inconveniente, la normativa prevede eccezioni alla regola: il legislatore ha previsto due casi in cui si può convertire il permesso di soggiorno fin da subito, senza rispettare l’emanazione delle successive quote di ingresso, le quali saranno poi decurtate in misura pari al numero dei permessi di soggiorno così convertiti [Articolo 14, comma 5, D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394]:
- lo studente straniero deve essere stato regolarmente soggiornante sul territorio italiano al raggiungimento della maggiore età;
- lo studente straniero deve avere conseguito il diploma di laurea o di laurea specialistica in Italia.
Al di fuori delle suddette ipotesi, la conversione del permesso di studio in permesso di soggiorno per lavoro autonomo è di fatto subordinata al rispetto delle quote di legge.

E’ opportuno precisare come, diversamente da quanto stabilito con riferimento alla conversione del permesso di soggiorno di soggetti già soggiornanti nel territorio dello Stato, per l’anno 2010, non è ammesso l’ingresso per motivi di lavoro autonomo in relazione a coloro che intendano stipulare un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità del ‘lavoro a progetto’.

Infatti, l’ingresso in Italia per motivi di lavoro autonomo è ammesso con riferimento ad una tassativa elencazione di attività [che appunto non ricomprende l’ipotesi di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità del ‘lavoro a progetto’]. In relazione all’anno 2010, l’articolo 2, comma 1 del D.P.C.M. 1 aprile 2010 ammette l’ingresso in Italia - per motivi di lavoro autonomo - di 4.000 cittadini stranieri residenti all’estero e appartenenti alle seguenti categorie:
- imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia italiana;
- liberi professionisti;
- soci e amministratori di società non cooperative;
- artisti di chiara fama internazionale e di alta qualificazione professionale ingaggiati da enti pubblici e privati;
- artigiani, purché provenienti da Paesi extracomunitari che contribuiscono finanziariamente agli investimenti effettuati dai propri cittadini sul territorio nazionale.

In ogni caso, non è il solo permesso di soggiorno per lavoro autonomo che dà titolo all’instaurazione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Di fatto, oltre al lavoro autonomo, vi sono altri motivi di soggiorno che permettono di svolgere qualunque attività di lavoro:
- lavoro subordinato [ non stagionale] o attesa occupazione;
- motivi familiari, adozione e affidamento;
- motivi umanitari, protezione sociale, asilo politico;
- studio e formazione professionale [ fino al limite di 1040 ore annue];

domenica 13 febbraio 2011

Ravvedimento operoso: aumentano le sanzioni

Il ravvedimento operoso è un istituto introdotto dall’articolo 13, del D.Lgs. n. 472/1997, più volte modificato dal Legislatore, da ultimo attraverso la C.d. ‘Legge di Stabilità’ ovvero la Legge 13 dicembre 2010, n. 220.

Di fatto questo istituto prevede la possibilità per il contribuente di regolarizzare spontaneamente violazioni ed omissioni tributarie attraverso il versamento, entro i termini stabiliti, del tributo non versato, con la conseguente applicazione di una sanzione stabilita in misura ridotta, la cui entità varia a seconda della tempestività del ravvedimento e del tipo di violazione.

In particolare, il contribuente che intende regolarizzare l'omesso o insufficiente versamento di un tributo deve provvedere contestualmente al versamento:

- del tributo dovuto e non versato (ovvero versato in misura inferiore);
- della sanzione ridotta;
- degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giornaliera. Con D.M. 7 dicembre 2010 è stato stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2011, il tasso di interesse legale è fissato all’1.5%.

E’ bene precisare che la sanzione in misura ridotta è concessa solo a seguito di regolarizzazione spontanea, ‘sempre che la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidalmente obbligati’ [ Articolo 13, D.Lgs. n.472/1997].

MISURE E TERMINI PER IL RAVVEDIMENTO A DECORRERE DAL 1° GENNAIO 2011

Come noto, la C.d. ‘Legge di Stabilità’ , attraverso l’articolo 1, comma 20, è andata a modificare la disciplina sul ravvedimento operoso contenuta nell’articolo 13 del D.Lgs. n. 472/1997, elevando la misura delle sanzioni ridotte a seguito di regolarizzazione spontanea dei tributi.

Di fatto, la nuova formulazione del sopracitato articolo 13 prevede diverse sanzioni, a seconda della tempestività del ravvedimento.

Infatti, a decorrere dal 1° febbraio 2011, si avrà una sanzione in misura ridotta pari:

• Ad un decimo del minimo, nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua commissione;
• Ad un ottavo del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore;

• Ad un decimo del minimo di quella prevista per l’omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con un ritardo non superiore a novanta giorni ovvero ad un decimo del minimo di quella prevista per l’omessa presentazione della dichiarazione periodica prescritta in materia di imposta sul valore aggiunto, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.

In ogni caso, si ribadisce che tutti gli adempimenti richiesti per la regolarizzazione devono essere effettuati contestualmente.

Per i versamenti in parola occorrerà utilizzare:

• Il modello F24, per le imposte sui redditi, le relative imposte sostitutive, l’Iva, l’Irap e l’imposta sugli intrattenimenti
• Il modello F23, per l’imposta di registro e gli altri tributi indiretti.
Gli interessi devono essere indicati nel modello F24 utilizzando gli appositi codici tributo. Quelli sulle ritenute vanno invece versati dai sostituti d’imposta sommandoli al tributo.

ESEMPIO 1: OMESSO VERSAMENTO DI UN TRIBUTO DOVUTO

Come noto, l’articolo 13 del D.Lgs. n. 471/1997 prevede che ‘Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l'ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile’.

Pertanto, tenendo presente che la sanzione ordinaria è prevista nella misura del 30%, la regolarizzazione del mancato versamento potrà avvenire:

- Entro trenta giorni, con conseguente applicazione della sanzione in misura ridotta pari al 3% [1/10];
- Entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno, ovvero entro un anno dall’omissione o dall’errore, con conseguente applicazione della sanzione in misura pari al 3,75% [1/8].

ESEMPIO 2: MANCATA PRESENTAZIONE DEL MODELLO F24 A ZERO

Come noto, la mancata presentazione del mod. F24 con saldo a zero è sanzionata dal legislatore attraverso l’articolo 19 comma 4, del D.Lgs. n. 241/1997. La suddetta norma infatti prevede che ‘per l'omessa presentazione del modello di versamento contenente i dati relativi alla eseguita compensazione, si applica la sanzione di€ 51,00, ridotta a € 154,00 se il ritardo non è superiore a cinque giorni lavorativi’.

Seguito della nuova formulazione dell’articolo 13, del D.Lgs. n.472/1997, la regolarizzazione spontanea della suddetta violazione può avvenire:

- Entro cinque giorni, con successiva applicazione della sanzione in misura ridotta pari a € 6,00 [1/8 di € 51,00];
- Entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno in cui è commessa la violazione, ovvero entro un anno dall’omissione o dall’errore, con conseguente applicazione della sanzione ridotta pari a € 19 [1/8 di € 154,00].

Licenziamento dell’apprendista, indennità di disoccupazione anche senza gli ordinari requisiti di anzianità

Come noto, il vigente ordinamento esclude espressamente gli apprendisti dal diritto alla prestazione di disoccupazione.

In ogni caso l’articolo 19 comma 1 lettera c) del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185 – convertito in legge, con modifiche, L. 28 gennaio 2009, n. 2 – ha esteso, in via sperimentale per il triennio 2009-2011, l’indennità di ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali anche agli apprendisti.

Di fatto, in caso di sospensione per crisi aziendale, sospensione per crisi occupazionale, licenziamento, ai lavoratori assunti con qualifica di apprendista con anzianità di servizio di almeno 3 mesi presso l’azienda interessata al trattamento, è riconosciuto un trattamento pari all’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali, subordinatamente ad un intervento integrativo a carico degli Enti bilaterali, pari almeno alla misura del 20% dell’indennità spettante.

Nell’ipotesi di sospensione per crisi, la suddetta misura può essere concessa, per la durata massima di novanta giornate nell’intero periodo di vigenza del contratto di lavoro ovvero per un numero inferiore di giornate, qualora il rapporto di lavoro scada prima; in caso di licenziamento, il trattamento può essere concesso per la durata massima di 90 giornate, sempre che lo stesso risulti disoccupato per l’intero periodo [ I.N.P.S., circolare 6 marzo 2009, n. 39].

In ogni caso l’apprendista licenziato deve far domanda dello stesso entro 68 giorni dal licenziamento.

I commi 1bis e 1ter del medesimo articolo prevedono inoltre che:

- Nelle ipotesi in cui manchi l’intervento integrativo degli enti bilaterali, i periodi di tutela si considerano esauriti e pertanto i lavoratori accedono direttamente ai trattamenti in deroga alla normativa vigente.
- In via transitoria, fino al 31 marzo 2011 – così come disposto dal c.d. Decreto Milleproroghe – è garantito ai lavoratori beneficiari un trattamento equivalente agli ammortizzatori sociali in deroga, pari all’80% della retribuzione di riferimento. In ogni caso, ai sensi del predetto decreto, il suddetto termine provvisorio può essere prorogato al 31 dicembre 2011 attraverso apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Di fatto, nel caso in cui sussista l’intervento integrativo da parte dell’Ente bilaterale, l’apprendista potrà godere del trattamento di disoccupazione in deroga per la durata massima di 90 giornate.

Per il riconoscimento di tale beneficio non dovranno essere ricercati i requisiti assicurativi e contributivi generalmente necessari per la concessione dell’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti normali quali anzianità assicurativa e contribuzione ds [ I.N.P.S., circolare n.39/2009].

Successivamente alla percezione della prestazione di disoccupazione ovvero qualora manchi l’intervento dell’Ente bilaterale, l’apprendista sospeso ovvero licenziato potrà accedere al trattamento di mobilità in deroga per la durata massima prevista dal decreto di concessione. Per il riconoscimento del beneficio, occorrono i requisiti di cui all’articolo 7ter comma 6, della Legge 9 aprile 2009, n. 33, ovvero il lavoratore dovrà avere un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui almeno 6 di lavoro effettivamente prestato [ Articolo 16,comma1, l. 223/1991, I.N.P.S., circolare n. 43/2010];
In ogni caso, il datore di lavoro è tenuto a comunicare, con apposita dichiarazione da inviare ai servizi competenti e alla sede I.N.P.S. territorialmente competente, la sospensione dell’attività lavorativa e le relative motivazioni, nonché i nominativi dei lavoratori interessati che, per beneficiare del trattamento, devono rendere dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale all’atto della presentazione della domanda di indennità.

Di fatto, qualora il lavoratore:
- Rifiuti un’offerta formativa o di riqualificazione;
- Rifiuti un’offerta di lavoro congruo;
- Rifiuti di essere impiegato in opere o servizi di pubblica utilità,
in tal caso, il suddetto rifiuto comporterà la decadenza dal beneficio [Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, circolare 22 febbraio 2006, n. 5].

venerdì 11 febbraio 2011

Licenziamento dell’apprendista, indennità di disoccupazione anche senza gli ordinari requisiti di anzianità

Come noto, il vigente ordinamento esclude espressamente gli apprendisti dal diritto alla prestazione di disoccupazione.

In ogni caso l’articolo 19 comma 1 lettera c) del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185 – convertito in legge, con modifiche, L. 28 gennaio 2009, n. 2 – ha esteso, in via sperimentale per il triennio 2009-2011,l’indennità di ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali anche agli apprendisti.

Di fatto, in caso di sospensione per crisi aziendale, sospensione per crisi occupazionale, licenziamento, ai lavoratori assunti con qualifica di apprendista con anzianità di servizio di almeno 3 mesi presso l’azienda interessata al trattamento, è riconosciuto un trattamento pari all’indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali, subordinatamente ad un intervento integrativo a carico degli Enti bilaterali, pari almeno alla misura del 20% dell’indennità spettante.

Nell’ipotesi si sospensione per crisi , la suddetta misura può essere concessa, per la durata massima di novanta giornate nell’intero periodo di vigenza del contratto di lavoro ovvero per un numero inferiore di giornate, qualora il rapporto di lavoro scada prima; in caso di licenziamento, il trattamento può essere concesso per la durata massima di 90 giornate, sempre che lo stesso risulti disoccupato per l’intero periodo [ I.N.P.S., circolare 6 marzo 2009, n. 39]. In ogni caso l’apprendista licenziato deve far domanda dello stesso entro 68 giorni dal licenziamento.

I commi 1bis e 1ter del medesimo articolo prevedono inoltre che:

- Nelle ipotesi in cui manchi l’intervento integrativo degli enti bilaterali, i periodi di tutela si considerano esauriti e pertanto i lavoratori accedono direttamente ai trattamenti in deroga alla normativa vigente.
- In via transitoria, fino al 31 marzo 2011 – così come disposto dal c.d. Decreto Milleproroghe – è garantito ai lavoratori beneficiari un trattamento equivalente agli ammortizzatori sociali in deroga, pari all’80% della retribuzione di riferimento. In ogni caso, ai sensi del predetto decreto, il suddetto termine provvisorio può essere prorogato al 31 dicembre 2011 attraverso apposito decreto del
Di fatto, nel caso in cui sussista l’intervento integrativo da parte dell’Ente bilaterale, l’apprendista potrà godere del trattamento di disoccupazione in deroga per la durata massima di 90 giornate. Per il riconoscimento di tale beneficio non dovranno essere ricercati i requisiti assicurativi e contributivi generalmente necessari per la concessione dell’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti normali quali anzianità assicurativa e contribuzione ds [ I.N.P.S., circolare n.39/2009].
Successivamente alla percezione della prestazione di disoccupazione ovvero qualora manchi l’intervento dell’Ente bilaterale, l’apprendista sospeso ovvero licenziato potrà accedere al trattamento di mobilità in deroga per la durata massima prevista dal decreto di concessione. Per il riconoscimento del beneficio, occorrono i requisiti di cui all’articolo 7ter comma 6, della Legge 9 aprile 2009, n. 33, ovvero il lavoratore dovrà avere un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui almeno 6 di lavoro effettivamente prestato [ Articolo 16,comma1, l. 223/1991, I.N.P.S., circolare n. 43/2010];
In ogni caso, il datore di lavoro è tenuto a comunicare, con apposita dichiarazione da inviare ai servizi competenti e alla sede I.N.P.S. territorialmente competente, la sospensione dell’attività lavorativa e le relative motivazioni, nonché i nominativi dei lavoratori interessati che, per beneficiare del trattamento, devono rendere dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale all’atto della presentazione della domanda di indennità.
Di fatto, qualora il lavoratore:
- Rifiuti un’offerta formativa o di riqualificazione;
- Rifiuti un’offerta di lavoro congruo;
- Rifiuti di essere impiegato in opere o servizi di pubblica utilità,
in tal caso, il suddetto rifiuto comporterà la decadenza dal beneficio [Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, circolare 22 febbraio 2006, n. 5].

Lombardia: ammortizzatori sociali in deroga fino al 31 marzo 2011

Come noto, la c.d. ‘legge di stabilità’ ha previsto la proroga, per il 2011 dell’accesso agli ammortizzatori sociali in deroga. Di fatto, per un massimo di 12 mesi e sulla base di specifici accordi governativi, è possibile prorogare anche per il 2011 i trattamenti di integrazione al reddito già concessi nel corso del 2010 ai sensi all’articolo 2, comma 138, della Legge 191/2009.
Pertanto, a seguito dell’approvazione della nuova legge finanziaria, ed in attesa della definizione delle nuove e regole e modalità di accesso agli ammortizzatori sociali in deroga per l’anno 2011 da parte degli accordi governativi, la Sottocommissione Permanente Mobilità/Ammortizzatori Sociali in deroga in data 15 dicembre 2010 ha previsto un periodo transitorio entro il quale è ancora ammessa la possibilità di usufruire degli ammortizzatori sociali in deroga.
Di fatto la sottocommissione ha esteso la possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali in deroga nella Regione Lombardia fino al 31 marzo 2011, e pertanto agli stessi, continueranno ad applicarsi i precedenti accordi in materia.
Per quanto concerne la CIG in deroga la Sottocommissione ha previsto che le aziende e i datori di lavoro interessati possono presentare nuove domande di periodi di trattamento con scadenza massima il 31 marzo 2011.
Pertanto possono presentare nuove domande di CIG in deroga:
- Coloro che hanno già periodi di CIG in deroga autorizzati in scadenza o scaduti nel 2010 che intendono proporre nuove domande. Le suddette domande avranno decorrenza successiva al periodo autorizzato nel 2010 e scadenza entro il 31.03.2011;
- Coloro che hanno già presentato domande con scadenza il 31.12.2010 e non ancora autorizzate. Gli stessi possono presentare nuove domande con decorrenza dal 1.01.2011 e scadenza il 31.03.2011;
- Coloro che prestano per la prima volta una domanda. Si precisa che il periodo richiesto avrà in ogni caso scadenza il 31.03.2011.
Si precisa che le richieste dovranno essere presentate telematicamente con le stesse modalità precedentemente in vigore: pertanto troverà applicazione l’accordo quadro 4 maggio 2009 sugli ammortizzatori sociali in deroga 2009-2010 nonché il Patto per le politiche attive 16 giugno 2009.

Di conseguenza, a seguito della suddetta richiesta, ai lavoratori dipendenti da titolari di unità operative anche artigiane e cooperative non rientranti nei requisiti d’accesso per i trattamenti di integrazione ordinari per la sospensione dell’attività lavorativa, verrà concesso, fino al 31 marzo, il suddetto incentivo al reddito.

In ogni caso gli accordi sindacali già stipulati con previsione di periodi di trattamento nell’anno 2011, possono ugualmente essere allegati alle nuove richieste anche se prevedono scadenze dei trattamenti oltre il 31 marzo 2011. Ai fini della richiesta verrà in ogni caso considerato il termine del 31 marzo.

Per quanto concerne la mobilità in deroga, per i lavoratori che hanno in corso trattamenti di mobilità in deroga, gli stessi verranno prorogati al 31 marzo 2011, entro il limite massimo di 12 mesi. Allo stesso modo potranno essere presentate nuove domande di trattamento da parte di lavoratori che sono in possesso dei requisiti richiesti.

giovedì 10 febbraio 2011

Certificati di malattia on line: assistenza INPS

L’INPS, con il messaggio n. 3161 dell’8 febbraio 2010, ha fornito indicazioni in merito alle modalità di funzionamento del flusso telematico di trasmissione dei certificati di malattia dei lavoratori, sia del settore privato che del settore pubblico, da parte dei medici del SSN o con questo convenzionati, in conformità delle disposizioni normative emanate in materia.

L’Istituto ha annunciato che saranno disponibili, per i datori di lavoro e per i lavoratori, funzioni di consultazione e di stampa dei certificati e degli attestati, sul proprio sito internet (con l’utilizzo di apposito codice pin) ovvero attraverso posta elettronica certificata (PEC).

L’INPS fornirà, altresì, assistenza relativamente all’utilizzo dei propri servizi, ai lavoratori e ai datori di lavoro, sia pubblici che privati, tramite gli operatori del Contact Center Integrato Inps-Inail.

Ricorsi amministrativi solo con canale telematico

L’INPS, con la circolare 10/02/2011 n.32, ha precisato che a decorrere dal 21 febbraio p.v. l’istanza relativa ai ricorsi amministrativi dovrà avvenire con modalità telematiche in via diretta dal cittadino dotato di PIN tramite accesso al sito internet dell’Istituto previdenziale oppure tramite gli Enti di patronato, i consulenti del lavoro e gli altri soggetti abilitati all’intermediazione ex Lege n.12/1979 tramite i consueti servizi telematici da loro utilizzati.
A tal fine è stata realizzata e rilasciata in produzione la procedura RiOL disponibile nell’area dedicata ai servizi on line del portale dell’INPS.

E’ in ogni caso previsto un periodo transitorio di 60 giorni durante il quale i ricorsi potranno essere proposti con le modalità già in uso.

In merito agli intermediari abilitati ai ricorsi, l’INPS evidenzia che per gli avvocati è stata inserita la specifica profilazione sino ad ora non prevista per la richiesta del PIN che dovrà avvenire attraverso l’apposito modello ad una sede dell’istituto previdenziale.

Ottenuto il PIN, gli avvocati potranno accedere alla procedura per la trasmissione de i ricorsi seguendo il percorso www.inps.it > Servizi on line > per tipologia di utente > aziende, consulenti e professionisti > ricorsi on line.

All’atto dell’inserimento del PIN per l’autenticazione, l’avvocato sarà riconosciuto come procuratore del ricorrente e in quanto tale abilitato alla trasmissione dei ricorsi per i propri clienti.

Una volta effettuato l’accesso alla procedura, predisporranno i ricorsi compilando le schede previste e allegheranno in formato digitale: la delega sottoscritta dal ricorrente e il documento di identità dello stesso, il ricorso, nonché separatamente l’eventuale ulteriore documentazione.

Gestione Separata Inps: aliquote 2011

L’Inps, con circolare n. 30 del 9 febbraio 2011, ha comunicato che le aliquote contributive dovute a decorrere dal 1° gennaio 2011 dagli iscritti alla gestione separata sono rispettivamente pari a 26,72% per tutti i soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie e 17% per i soggetti titolari di pensione o provvisti di altra tutela pensionistica obbligatoria.

A dire il vero per gli iscritti che non risultano già assicurati presso altra forma previdenziale l’aliquota è del 26% a cui però deve essere aggiunta l’aliquota contributiva pari allo 0,72% dovuta per finanziare la tutela della maternità, gli ANF, la degenza ospedaliera e la malattia.

L’INPS inoltre conferma la ripartizione dell’onere contributivo tra collaboratore e committente, la quale rimane fissata rispettivamente nella misura di un terzo (1/3) e due terzi (2/3), così come resta immutata nell’associato in partecipazione la ripartizione tra associante e associato, pari rispettivamente al 55% e al 45%.

Le suddette aliquote sono applicabili, in base ai criteri sopra riportati, fino al raggiungimento del massimale di reddito che, per l’anno 2011, è stato fissato in misura pari a euro 93.622,00.

Il minimale di reddito per l’accredito dei contributi mensili è stato fissato, per l’anno 2011, nella misura pari ad euro 14.552,00. Pertanto, gli iscritti per i quali il calcolo della contribuzione avviene con l’aliquota del 17% avranno l’accredito dell’intero anno con un contributo annuo di euro 2.473,84, mentre gli iscritti per i quali il calcolo della contribuzione avviene con l’aliquota del 26,72% avranno l’accredito dell’intero anno con un contributo annuale pari ad euro 3.888,29 (di cui 3.784,00 ai fini pensionistici).

Allegati:

mercoledì 9 febbraio 2011

Accentramento della posizione contributiva INPS

Il licenziamento del lavoratore disabile

Nel nostro ordinamento anche se il lavoratore disabile gode di una particolare tutela contenuta nella legge 12 marzo 1999, n.68, in virtù del principio di parità di trattamento nonché alla tutela antidiscriminatoria nei confronti delle situazioni di handicap di cui al D.Lgs. n. 216/2003, ai soggetti avviati obbligatoriamente al lavoro si applicano le disposizioni che regolano il rapporto di lavoro per la generalità dei dipendenti.

Pertanto ai soggetti avviati dal collocamento mirato sono applicabili le disposizioni in materia di licenziamento, anche se con alcune peculiarità.

LICENZIAMENTO PER MANCATO SUPERAMENTO DEL PERIODO DI PROVA

Come in qualunque contratto di lavoro, il contratto stipulato con un soggetto disabile può contenere apposita clausola attestante il patto di prova. Di fatto, l’obbligo di contrarre ed adibire il lavoratore a mansioni compatibili con la sua abilità nonché professionalità non elimina l’autonomia negoziale delle parti e pertanto le stesse possono considerale la scelta di apporre clausole accessorie al contratto stesso. Pertanto, il rapporto instaurato obbligatoriamente con un lavoratore disabile può legittimamente interrompersi in caso di mancato superamento della prova. In ogni caso la prova instaurata con il disabile è caratterizzata da particolari peculiarità:

- La durata del periodo di prova è determinata dalla contrattazione collettiva fatta salva la possibilità di concordare svolgimento di periodi più ampi [ Articolo 11, comma 2, L. 68/1999].

- Il contenuto del patto deve essere rapportato al tipo di invalidità e non correlato alla produttività di un soggetto valido. Di fatto ‘ la prova deve riguardare mansioni compatibili con lo stato dell’invalido e la valutazione del suo esito deve prescindere da ogni considerazione sullo stato medesimo, nel senso che il datore di lavoro può validamente recedere dal rapporto per esito negativo della prova soltanto se l’esperimento abbia dimostrato l’inidoneità del lavoratore ad esercitare le mansioni affidategli o altre reperibili nell’assetto occupazionale dell’azienda in base alla ridotta capacità lavorativa posseduta, senza peraltro effettuare alcun confronto tra il rendimento del soggetto protetto e il rendimento medio del lavoratore valido’ [Cassazione, 14 ottobre 2000, n. 13726];
- Il recesso intimato durante il periodo di prova deve consentire l’effettiva verifica delle professionalità e delle capacità del lavoratore in riferimento alla sua invalidità: è pertanto illegittimo il licenziamento intimato dal datore durante il periodo di prova qualora l’effettiva brevità dell’esperimento , in relazione alla complessa e elevata specializzazione delle mansioni non abbia consentito la suddetta verifica delle professionalità;
- Il recesso del datore di lavoro durante il periodo di prova non richiede la comunicazione del motivo: il sistema di protezione dei lavoratori disabili non postula l’esistenza di una norma diretta a stabilire un requisito formale della manifestazione della volontà di recesso e pertanto l’assenza di una motivazione contestuale, come pure il difetto della forma scritta, all’atto del licenziamento del lavoratore non può incidere sulla validità ed efficacia del licenziamento. In ogni caso, è pertanto consigliabile che il recesso sia contestualmente motivato, al fine di agevolare l’eventuale controllo giudiziale ed evitare abusi nei confronti di questi soggetti [Cassazione, sentenza 18 marzo 2002, n. 3920]. Il datore di lavoro è in ogni caso tenuto a spiegare le ragioni del recesso qualora il lavoratore disabile ne faccia successivamente richiesta, anche prima del giudizio [Cassazione, n. 3689/1998].

In ogni caso, secondo l’orientamento prevalente inoltre, l’eventuale illegittimità del recesso durante il periodo di prova non dà luogo all’applicazione dell’articolo 18. St. Lav: in detta ipotesi i lavoratore ha diritto a completare la prova o in alternativa, al risarcimento del danno [Cass.n. 2228/1998].
Da ultimo, è controversa la possibilità di un nuovo avviamento da parte dei servizi competenti per il collocamento obbligatorio dei disabili dello stesso lavoratore già licenziato per mancato superamento del periodo di prova, in quanto la mancanza di una espressa motivazione non consente di accertare con sufficiente certezza le concrete ragioni del recesso e, pertanto, la giurisprudenza ha talora ritenuto legittimo un nuovo avviamento, magari a distanza di tempo e dopo un serio percorso formativo [Cassazione, n. 12134/1998].
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA O GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO
Anche se la legge non dispone un’espressa previsione in merito alla possibilità di licenziamento del soggetto obbligatoriamente avviato per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, non è in ogni caso esclusa la possibilità di recesso tramite le suddette modalità in quanto la legge impone l’assunzione di soggetti ipoteticamente meno produttivi ma non anche di mantenere in servizio chi si sia dimostrato del tutto incapace di un minimo rendimento e inserimento nella realtà aziendale [Cassazione n. 5688/1985]. Tale considerazione richiama quindi la possibilità di utilizzare anche nei confronti dei disabili obbligatoriamente collocati l’applicazione degli articoli 2119 c.c. e l’articolo 3 l.604/66, ferma peraltro la necessità che l’accertamento della ricorrenza di una giusta causa o di un giustificato motivo prescinde dalla condizione di salute del lavoratore ma fa leva sulla perdita dell’elemento fiduciario. Pertanto, in dette ipotesi il licenziamento può dunque dipendere anche da comportamenti del lavoratore estranei alla mera capacità lavorativa, inerente alla violazione dei doveri di collaborazione o violazione dei principi di correttezza e buona fede.
Il licenziamento è tuttavia condizionato dalla dimostrata impossibilità di trovare al lavoratore una collocazione confacente nell’organizzazione aziendale, per inaccettabili intemperanze comportamentali o per l’irreperibilità di mansioni compatibili con le capacità lavorative dello stesso, nonostante gli accorgimenti ed adattamenti possibili effettuati dall’impresa e accertati dalla Commissione medica di cui alla legge 104/92.
LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
Ferma restando l’applicabilità, come per la generalità dei dipendenti, della disciplina di salvaguardia dettata dalla legge in caso di licenziamento collettivo conseguente ad una riduzione dell’attività di lavoro, i licenziamenti per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo nei confronti di lavoratori avviati obbligatoriamente, sono annullabili qualora, al momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori disabili sia inferiore alla quota di riserva.
La quota di riserva intangibile va verificata all’atto dell’intimazione del recesso e non al momento dell’effettiva estinzione del rapporto, se avviene in un tempo successivo, né al momento dell’avvio della procedura, in relazione agli esuberi dichiarati, contendo l’effettiva riduzione dell’organico – e non quella inizialmente immaginata – che ridetermina la quota d’obbligo.
In ogni caso si deve ritenere che la previsione in esame presupponga sempre l’esistenza di una possibilità di ricollocazione lavorativa del disabile. Ne consegue l’inoperatività della norma nel caso in cui non vi sia alcuna possibilità occupazionale dell’invalido, per ragioni che attendono alla sua capacità lavorativa.
LICENZIAMENTO PER DISABILITA’ SOPRAVVENUTA O PER L’AGGRAVAMENTO DELLE CONDIZIONI DI SALUTE
L’insorgere o l’aggravarsi della disabilità dopo l’assunzione, per infortunio sul lavoro o malattia professionale o per cause estranee all’attività lavorativa, di per sé non costituisce giustificato motivo di licenziamento, anche qualora lo stesso non sia più in grado di svolgere le mansioni per le quali è stato assunto.

In caso di aggravamento delle condizioni di salute che comporti l’impossibilità di svolgere le mansioni affidate, il datore di lavoro o il disabile hanno la facoltà di richiedere alla commissione medica di cui all’articolo 4 della L. 104/1992, la compatibilità delle condizioni salute del disabile con l’attività svolta, con possibilità di temporanea sospensione del rapporto fino al perdurare dell’incompatibilità.

Di fatto il lavoratore ha diritto ad essere adibito ad altre mansioni confacenti con la sua condizione di salute, e pertanto il datore di lavoro potrà ricollocare l’invalido all’interno della propria organizzazione anche attraverso possibili adattamenti della stessa.

Solo ove tali misure non siano sufficienti ovvero vi sia il rifiuto da parte del disabile a svolgere mansioni inferiori eventualmente disponibili, il datore potrà intimare il licenziamento e pertanto il lavoratore verrà avviato presso altra azienda, in attività compatibili con le residue capacità lavorative, senza necessità di iscrizione nelle graduatorie di cui all’articolo 8 l. 68/1999.

Comporto e indicazione dei giorni

La corte di Cassazione, con sentenza 27 gennaio 2011, n. 1953 si è pronunciata in merito al recesso datoriale a seguito di superamento del periodo di comporto.
Come noto, al licenziamento per superamento del periodo di comporto sono ritenute applicabili le regole dettate dalla legge n. 604/1966, articolo 2, sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi di recesso nonché sull’onere della prova, pertanto qualora nell’atto di licenziamento non siano indicate le assenze, il lavoratore ha la facoltà di richiedere al datore di lavoro di specificarle, restando l’onere del datore di provare i presupposti del licenziamento.

In ogni caso, la Corte ha precisato, sull’onda di un consolidato orientamento giurisprudenziale, che ‘il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non già ad un licenziamento disciplinare, bensì ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, causale di licenziamento cui si fa riferimento anche per le ipotesi di impossibilità della prestazione, riferibile al lavoratore, diverse dalla malattia’. Riguardo a tale licenziamento, non è quindi necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale [assenze] in quanto si tratta di un evento di cui il lavoratore ha conoscenza diretta.

Pertanto il datore di lavoro ‘non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziale un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, i fatti costitutivi del potere esercitato’.

Licenziamenti collettivi e criterio di uscita

Con sentenza 25 gennaio 2011 n. 1722, la Corte di Cassazione ha riconfermato il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale. In particolar modo la corte ha affermato che ‘in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla legge n. 223/1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’articolo 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicché nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l'organico dell'intero complesso aziendale, al fine di ridurre il costo del lavoro, l'imprenditore può limitarsi all'indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all'esito della procedura che adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione’ .

martedì 8 febbraio 2011

Agevolazioni per l’assunzione a termine di lavoratori in mobilità

Come noto, il vigente ordinamento prevede forme incentivanti per i datori di lavoro a fronte dell’assunzione di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità. In particolar modo l’articolo 8, comma 2 della Legge 223/1991, riconosce una riduzione dei contributi previdenziali nella misura prevista per gli apprendisti, ai datori di lavoro che assumano lavoratori in mobilità.

L’assunzione a tempo determinato, ai sensi del suddetto articolo, deve avere durata inferiore a 12 mesi per i quali è riconosciuta la suddetta agevolazione contributiva.

In ogni caso, le disposizioni dettate dalla predetta legge devono risultare compatibili con quanto disposto dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, che regola la materia del contratto a termine.

Come noto, l’instaurazione di un contratto a tempo determinato è subordinato alla presenza di ragioni di carattere tecnico produttivo organizzativo e sostitutivo: di fatto, la mancanza di tali ragioni giustificatrici integra un’ipotesi di illegittima apposizione del termine con conseguente conversione del rapporto a tempo pieno e indeterminato.

L’I.N.P.S., con recente messaggio 27 dicembre 2010, n. 32661, ha fornito precisazioni in merito a quanto sopracitato. Innanzitutto, l’articolo 8 della legge 223/1991 introduce nell’ordinamento italiano una particolare deroga, di carattere soggettivo, alle norme che limitano l’apposizione del termine nel rapporto di lavoro subordinato.

Di fatto, il lavoratore iscritto nelle liste di mobilità può essere assunto a termine anche in assenza delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo di cui sopra, essendo la ragione giustificatrice insita nella tipologia del soggetto assunto.

In ogni caso, qualora il lavoratore sia assunto senza le ragioni giustificatrici, il rapporto di lavoro potrà avere durata massima 12 mesi, con conseguente applicazione, per il medesimo periodo, delle previste agevolazioni contributive.

In ogni caso la norma non esclude a priori l’applicazione del D.Lgs. 368/2001 alla suddetta fattispecie: può infatti accadere che l’assunzione a termine del lavoratore iscritto alle liste di mobilità possa avvenire attraverso le ragioni giustificatrici previste dall’articolo 1 del predetto decreto, con conseguente applicazione della disciplina sul rapporto a termine. Infatti, in detta ipotesi il rapporto di lavoro potrà avere durata superiore ai 12 mesi. In ogni caso, l’agevolazione contributiva sarà riconosciuta per un massimo di 12 mesi.