Nella sentenza suindicata la Suprema Corte ribadisce che il “principio di diligenza, correttezza e buona fede impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge”.
Da ciò deriva che le parti devono astenersi da comportamenti che possono ledere l’interesse dell’altra alla corretta esecuzione del contratto.
La Corte sottolinea che, come noto, lo stato di malattia del lavoratore è tutelato dalle disposizioni contrattuali e dalla legge in quanto non sia imputabile alla condotta volontaria del lavoratore.
Coniugando tale disciplina con i principi di diligenza, correttezza e buona fede, ne deriva che incombe sui lavoratori l’obbligo di curarsi diligentemente durante la malattia, al fine di non pregiudicare la guarigione ritardando la ripresa del lavoro, ma anche quello di evitare di ammalarsi esponendosi a rischi a cui è connessa un’elevata probabilità di cadere in uno stato morboso.
Corte di Cassazione, sentenza 25 gennaio 2011, n. 1699
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