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lunedì 31 maggio 2010

Permessi per l’accompagnamento di disabili gravi ricoverati in case di cura

Il parente o l’affine che provvede ad accompagnare il disabile grave ricoverato in casa di cura ad una visita medica presso una struttura esterna, ha diritto a fruire dei permessi di cui all’art. 33 , comma 3, della legge n. 104/92, messaggio Inps n. 14.480 del 28 maggio 2010.
La questione è particolarmente significativa e riguarda degli aspetti di carattere generale legati all’assistenza del familiare con handicap grave ricoverato a tempo pieno in una casa di cura.
Questi soggetti spesso necessitano di una serie di visite mediche che necessariamente devono essere sostenute al di fuori della casa di cura. Può accadere che la casa di cura, oltre al servizio residenziale, offra anche quello di assistenza e di accompagnamento alle visite mediche presso le strutture esterne . Qualora questo servizio non venga reso dalla casa di cura, necessariamente devono occuparsene i familiari del soggetto ricoverato.
In questo caso, il parente o l’affine del soggetto ha pienamente diritto a godere dei permessi orari di cui all’art. 33, co. 3 della legge n. 104/92, così come ampiamente chiarito nella risposta ad istanza d’interpello n. 13 del 20 febbraio 2009 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
La risposta ministeriale aveva superato la preclusione al diritto per il familiare di un soggetto ricoverato in una casa di cura a tempo pieno di godere dei permessi di cui alla legge n. 104/92, sulla base di una considerazione di ordine comune che prende atto che il tempo sottratto all’attività lavorativa viene comunque speso in un’attività di assistenza che il Legislatore ha inteso tutelare e valorizzare mediante la concessione di permessi orari.
La nota ministeriale sottolinea comunque la necessità che l’accompagnamento presso una struttura esterna del familiare disabile sia motivato e comunque giustificato mediante la produzione di apposita certificazione medica.
Il messaggio Inps precisa che il lavoratore interessato a beneficiare dei permessi di cui all’art. 33, co. 3 della legge n. 104/92, è tenuto a presentare regolare domanda preventivamente al godimento dei permessi stessi.
Il Messaggio Inps, affronta in questa parte, tutta una serie di aspetti tecnico procedurali che attengono all’istruttoria interna ai fini del rilascio dell’autorizzazione al godimento dei benefici.
In particolare l’operatore Inps dovrà acquisire la domanda e verificata la ricorrenza dei requisiti previsti dalla normativa, procederà a validare una serie di campi in attesa della documentazione.
La documentazione probante, ai fini della concessione del diritto a beneficiare dei permessi di cui alla legge n. 104/92, riguarda sia la dichiarazione della casa di cura, di affidamento del soggetto disabile in condizione di gravità ai familiari, affinché lo accompagnino presso una struttura sanitaria esterna per la visita medica.
Al fine della fruizione dei permessi in questione, il familiare/ affine dovrà produrre in busta chiusa la documentazione sopra indicata, apponendo sulla stessa la dicitura “ contiene documenti di natura sensibile da visionare a cura del Centro medico legale”.
In attesa del rilascio dell’autorizzazione il lavoratore potrà assentarsi ad altro titolo e solo successivamente convertire il motivo dell’assenza in permesso per assistenza del disabile in condizione di gravità.

venerdì 28 maggio 2010

Indirizzi Inps per la liquidazione delle prestazioni di disoccupazione agricola anno 2009

Per le domande di disoccupazione agricola riferite all’anno 2009, e per le quali l’Inps sta procedendo a definire la relativa istruttoria,vengono fornite indicazioni con il messaggio n. 13.212 del 14 maggio 2010.

Viene ricordato come anche per l’anno in corso sia stato stipulata una convenzione con gli enti di patronato per fissare i criteri di acquisizione telematica delle domande di disoccupazione agricola di competenza 2009.

Per gli acconti sul pagamento degli assegni per il nucleo familiare dei lavoratori agricoli, viene richiamata il precedente messaggio n. 739/2010 con le quali venivano fornite istruzioni.

Al riguardo le singole sedi Inps dovranno valutare l’opportunità a concedere l’acconto in questione.

Dal prossimo anno viene chiarito nel messaggio in argomento, che gli acconti non potranno più essere concessi. Ne consegue che il modello di domanda solitamente utilizzato per la richiesta ( Prest.agr.21 TP) sarà conseguentemente modificato.

Nel messaggio viene ribadito, sulla scorta del chiarimento pervenuto dall’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, che ai trattamenti speciali agricoli, di cui all’art. 25 della legge n. 457/72 e all’art. 7 della legge n. 37/77 non è applicabile il tetto massimo indennizzabile.

Una parte del messaggio viene riservata ai lavoratori stranieri ed in particolare ai cittadini extracomunitari.

Per i cittadini extracomunitari provenienti da Paesi con i quali non sono in atto convenzioni in materia contributiva e che risultino titolari di un permesso di soggiorno per lavoro stagionale, non sono assicurati contro la disoccupazione involontaria e per l’assegno per il nucleo familiare.

Diversamente, i cittadini stranieri in possesso di regolare permesso di soggiorno per lavoro subordinato, che svolgono anche attività stagionale, sono assicurati anche con riferimento alla disoccupazione involontaria e per l’assegno per il nucleo familiare.

A tal fine varrà come discriminante, la presenza del lavoratore sugli elenchi degli stranieri in permesso di soggiorno per lavoro stagionale, inviato periodicamente all’inps dal Ministero dell’Interno.

Per i cittadini comunitari viene precisato che ai fini della fruizione dell’indennità di disoccupazione agricola non viene richiesto al lavoratore di dare dimostrazione riguardo all’assolvimento degli obblighi relativi all’iscrizione anagrafica di cui al d.lgs. n. 30/2007.

Per i percettori di prestazioni integrative del salario o con sostegno al reddito, viene valutata la compatibilità con lo svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio ai fini dell’indennità di disoccupazione agricola.


Qualora l’importo netto dei compensi derivanti dall’esecuzione di lavoro accessorio, non superi i 3 mila euro netti nell’anno solare, non vi saranno a carico del lavoratore detrazioni di sorta.
Viceversa, nell’ipotesi in cui venisse superato tale limite , la somma eccedente dovrà essere rapportata al salario medio giornaliero utilizzato per il calcolo della prestazione al fine di individuare le giornate che debbono essere considerate indennizzabili.

giovedì 27 maggio 2010

Corresponsione dell’assegno per nucleo familiare. Nuovi livelli reddituali periodo 1°giugno 2010 – 30 giugno 2011

Con la circolare n. 69 del 26 maggio 2010, l’Inps provvede a comunicare gli importi aggiornati degli assegni per il nucleo familiare per il periodo che va dal 1° giugno 2010 al 30 giugno 2011.


Tale rivalutazione, come noto, è contenuta nella legge n. 153/88 che stabilisce una relazione tra reddito familiare e importo dell’assegno da riconoscere ai soggetti beneficiari.

La legge sopra riportata prevede che i livelli di redditi familiare, ai fini della corresponsione dell’assegno, vengano rivalutati annualmente in misura pari alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, calcolato dall’Istat intervenuta tra l’anno di riferimento dei redditi per la corresponsione dell’assegno e l’anno immediatamente precedente.

L’Inps comunica che sulla base delle rilevazioni Istat, la variazione intervenuta tra l’anno 2008 e l’anno 2009 è stata pari alllo 0,7%.

Prendendo a riferimento la variazione sopra indicata, l’Inps ha provveduto a rivalutare i livelli di reddito in vigore per il periodo 1° luglio 2009-30 luglio 2010.

I dati sono stati riportati nelle varie tabelle da prendere a riferimento sulla base delle tipologie dei nuclei familiari interessati e sono allegati alla circolare Inps n. 69/2010.

Tali importi devono essere presi a riferimento per la determinazione degli importi giornalieri, settimanali, quattordicinali e quindicinali della prestazione da corrispondere ai lavoratori che ne hanno titolo.

La sanzione amministrativa per impiego irregolare

Cass., Sez. Trib., 7 maggio 2010, n. 11215

Una recente pronuncia della Cassazione fornisce occasione per alcune importanti considerazioni nell’ambito delle sanzioni previste in caso di accertamento ispettivo di impiego irregolare di personale non denunciato nelle registrazioni o documentazioni obbligatorie.
La prima è l’applicazione della sanzione più favorevole in caso di successione di leggi nel tempo, in base al medesimo principio del favor rei vigente in materia di sanzioni tributarie. L’apparato delle sanzioni irrogabili in caso di accertato impiego di lavoratori irregolari è stato infatti oggetto di diverse modifiche legislative e pronunce giurisprudenziali.
Nel 2002 è stata introdotta la sanzione amministrativa (assai onerosa) dal 200% al 400% del costo del lavoro per ogni lavoratore irregolare calcolato sulla base dei CCNL vigenti e per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno dell’accertamento e la data di constatazione della violazione.
A seguito del successivo intervento della Corte costituzionale, la sanzione è rimasta riferita al predetto periodo, ma prevedendo la possibilità di una concreta prova contraria a carico del datore di lavoro che il lavoratore sia stato impiegato in nero per un periodo inferiore a quello stabilito dalla legge, con rilevante riduzione dell’ammontare della sanzione. La presunzione legale divenne così da assoluta a relativa. Tale prova è stata definita “impossibile” (cd. probatio diabolica), in quanto l’unico strumento idoneo per vincere la presunzione è la prova testimoniale, che non è ammessa nel processo tributario.
Sul punto, la sentenza in esame afferma che non può essere considerata valida come prova contraria il verbale della Direzione Provinciale del Lavoro che, a seguito dell’accertamento ispettivo, indica quale data di inizio del rapporto il giorno stesso di stesura del verbale.
Dal 4 luglio 2006 sono entrate in vigore nuove disposizioni sanzionatorie che hanno modificato la competenza dell’ente irrogatore (trasferita dall’Agenzia delle Entrate alla Direzionale Provinciale del Lavoro) e hanno posto questioni, anche complesse, in merito alla successione di leggi applicabili nel tempo.
La nuova cd. “maxi sanzione” per il lavoro sommerso è stata prevista in aggiunta alle sanzioni già previste dalla normativa in vigore per la specifica violazione accertata e in misura compresa tra €1.500 a €12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di €150 per ciascuna giornata di effettivo lavoro accertata in sede ispettiva (non in via automatica). In più, per l’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore è stato introdotto un minimo sanzionatorio di €3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.
Con particolare riguardo alla successione di leggi nel tempo, per le violazioni contestate prima del 4 luglio 2006 trova applicazione il medesimo principio sancito per le sanzioni tributarie, il principio del favor rei. Secondo tale principio, se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, sempre che il provvedimento di irrogazione della sanzione non sia già definitivo.
La norma sanzionatoria effettivamente più favorevole dovrà essere individuata mettendo a confronto le due disposizioni per individuare quella che dà il minore importo, tenendo conto di tutti gli elementi esistenti nel caso concreto della violazione accertata.
Va tenuta presente la sola ipotesi per la quale non può trovare applicazione il favor rei, vale a dire, la notifica di un atto di contestazione contenente, a pena di nullità, i fatti attribuiti al trasgressore, gli elementi probatori, le norme applicate, i criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e la loro entità nonchè i minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni.

Riferimenti: Legge n. 248/2006 art. 36bis, co. 7, lett. a) b); Legge n. 73/2002, art. 3, co. 3; Risoluzione Agenzia Entrate n. 211/2009; Circolare Agenzia Entrate n. 56/2008; Corte costituzionale sentenza 4 aprile 2005, n. 144; Cass., sez. lav., n. 1994/2005.

mercoledì 26 maggio 2010

Contributi previdenziali: riconoscimento del debito e interruzione della prescrizione

Un aspetto fondamentale nel pagamento dei debiti contributivi è rappresentato dai termini della prescrizione estintiva, decorsi i quali le somme oggetto della prescrizione non possono più essere versate.
La materia dell’estinzione per prescrizione dei crediti/debiti in materia previdenziale è stata oggetto di importanti modifiche a seguito di una legge di riforma entrata in vigore il 17 agosto 1995 (Legge n. 335/1995).
Proprio in quest’ambito segnaliamo un’importante pronuncia della Corte di Cassazione che afferma due rilevanti conseguenze che si producono nell’ipotesi di presentazione tardiva (oltre i termini prescritti, all’epoca dei fatti, giorno 20 del mese successivo a quello di riferimento) prima del 31 dicembre 1995 della denuncia contributiva mensile mod. DM10.
Il primo è l’interruzione del termine di prescrizionale decennale in corso relativo alle somme pagate.
Il secondo è il mantenimento dello stesso termine di prescrizione decennale dei crediti relativi ai periodi indicati anche per il futuro, termine che inizia a decorrere dalla data di presentazione tardiva del DM10. Ciò in quanto la data di presentazione cade nel periodo compreso tra il 17 agosto e il 31 dicembre 1995, vale a dire prima dell’entrata in vigore (1° gennaio 1996) del nuovo termine prescrizionale di 5 anni.
Per comprendere meglio la questione, va ricordato che, a seguito della citata modifica normativa, dal 1° gennaio 1996 è stato abbreviato da 10 a 5 anni il termine di prescrizione dei contributi pensionistici obbligatori, compreso il contributo di solidarietà a carico del datore di lavoro, salve denunce da parte del lavoratore (o dei suoi superstiti). Per i restanti contributi assistenziali si applica il termine di 5 anni.
I nuovi termini prescrizionali di 5 anni – per espressa previsione di legge – si applicano anche ai contributi relativi a periodi precedenti al 17/08/1995 (data di entrata in vigore della legge di riforma).
Unica eccezione è costituita da atti interruttivi già compiuti o procedure iniziate in applicazione della normativa precedente.
Ciò determina che è essenziale poter individuare l’epoca in cui sia iniziata una procedura con efficacia interruttiva della prescrizione, se un determinato atto interruttivo sia stato compiuto e, prima ancora, se un determinato atto abbia un’efficacia interruttiva della prescrizione o meno.
Hanno efficacia interruttiva della prescrizione (decennale) un atto disposto dall’INPS per il recupero del credito e, in talune ipotesi, anche un atto di riconoscimento del debito, come affermato nella pronuncia in esame. Infatti, secondo un orientamento giurisprudenziale accolto dall’INPS, qualora la denuncia contributiva sia presentata prima della scadenza del termine di versamento, non si produce tale efficacia interruttiva della prescrizione, in quanto il termine prescrizionale non è iniziato a decorrere.

Riferimenti: Codice Civile artt. 2943 e 2944; Legge n. 335/1995, art. 3, commi 9 e 10; Cass., Sezz. Un., 4 marzo 2008, n. 5784; Cass., Sez. Lav., n. 19334/2003; Cass., Sez. Lav., n. 14826/2002.

martedì 25 maggio 2010

Obblighi contributivi per il part-time del settore edile

Circolare Fondazione Studi CDL 24/05/2010, n. 8

Ha sollevato non poche perplessità un recente intervento dell’INPS in merito agli obblighi contributivi per i contratti part-time stipulati in violazione dei limiti numerici stabiliti dal vigente CCNL Industria Edile 18/06/2008.

La disposizione contrattuale in questione prevede, in attesa dell’adozione di altri criteri di congruità da parte delle Casse edili, il limite numerico del 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato (full-time e part-time). Il limite si applica alle assunzioni effettuate dopo l’entrata in vigore della nuova disposizione contrattuale, escludendo i contratti già sottoscritti alla predetta data. Tuttavia, è comunque ammesso almeno un operaio a tempo parziale, se non è superato il limite del 30% degli operai a tempo pieno.

Secondo il discutibile orientamento espresso dall’INPS, in un’evidente ottica repressiva e ispettiva, i contratti stipulati al di fuori di questi limiti violano le disposizioni del CCNL comportando l’applicazione della contribuzione virtuale, ovvero calcolata su una retribuzione commisurata al numero di ore settimanali a tempo pieno.
Sul punto è stato evidenziato dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro come lo stesso Istituto abbia affermato in precedenti interventi il principio generale in base al quale i limiti posti dal contratto collettivo (numero di ore minimo [CCNL Terziario] e percentuale massima di assunzioni part-time [CCNL Edilizia Industria]) non possono modificare la base imponibile contributiva calcolata in proporzione all’orario effettivamente svolto, rispetto alla quale maturerà progressivamente l’importo della futura pensione. Inoltre, sempre secondo la disciplina previdenziale di legge dei rapporti part-time, la retribuzione minima oraria si determina con la seguente formula: minimale giornaliero X 6 gg. ÷ normale orario a tempo pieno.
Non esistono infatti disposizioni di legge che stabiliscono, direttamente o indirettamente, dei limiti numerici ai contratti part-time né attribuiscono delega alla contrattazione collettiva.

E’ del tutto fondato sostenere quanto affermato dalla Fondazione Studi CDL in merito alla legittima applicazione della contribuzione virtuale nell’esclusiva ipotesi in cui in sede di accertamento ispettivo sia concretamente accertato che il contratto di lavoro part-time non corrisponde all’effettiva prestazione del lavoratore.

Attiene ad un diverso profilo, senza alcuna modifica o interferenza nelle suddette regole di determinazione della base imponibile previdenziale, la questione relativa alla perdita delle agevolazioni contributive posta in evidenza dall’INPS. La Finanziaria per il 2007 ha infatti affermato il principio costituzionale di legittimo riconoscimento di benefici contributivi, a condizione che il datore di lavoro operi nel rispetto delle disposizioni dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e di categoria comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

In particolare, come noto, dal 1° luglio 2007 i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva (DURC), all’assolvimento degli altri obblighi di legge e al rispetto degli accordi e dei contratti collettivi nazionali, regionali, territoriali o aziendali sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Di conseguenza, come sottolineato dall’INPS, in caso di accertamento ispettivo del superamento dei limiti numerici posti dal contratto collettivo, il datore di lavoro dovrà restituire i benefici contributivi fruiti con riferimento ai lavoratori part-time che superano la percentuale e con effetto dal periodo di paga successivo alla data del superamento del limite.

Riferimenti: Legge n. 296/2006, art. 1, co. 1175 (Finanziaria 2007); D.Lgs. n. 61/2000, art. 9; Legge n. 341/1995, art. 29; DM 16 dicembre 1996; Circolare INPS n. 6/2010; Circolare Ministero del Lavoro n. 34/2008; Messaggio n. 5143/2005; Circolare INPS n. 269/1995.

Computabilità nella quota di riserva del lavoratore normodotato divenuto inabile dopo la stipulazione del contratto di lavoro

Il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, direzione generale per l’attività ispettiva, con risposta ad istanza d’interpello n. 17/2010 del 24 maggio 2010, interviene sulla materia della computabilità del lavoratore assunto come normodotato e divenuto inabile dopo la stipulazione del contratto di lavoro.


L’istanza, presenta dalla FISE Assoambiente, Associazione imprese servizi ambientali, riguarda la computabilità nella quota di riserva ex art. 4, comma 4, della legge n. 68/1999 ai fini dell’assolvimento dell’obbligo previsto dalla norma, del lavoratore assunto come normodotato e divenuto successivamente inabile nel corso dello svolgimento del rapporto.

Oggetto del quesito è il momento in cui si determina la computabilità nell’aliquota dell’obbligo di cui all’art. 3 della legge n. 68/1999, ossia se questa si determina come effetto diretto della visita medica svolta presso l’ASL che accerti che la riduzione della capacità lavorativa, abbia di fatto superato la soglia del 60%. Inoltre, sempre nell’istanza, si chiede se il certificato di ottemperanza rilasciato ai fini della partecipazione alle gare pubbliche tenga conto del lavoratore di venuto disabile dal giorno della visita medica anche se tale lavoratore non risulta inserito nei prospetti informativi inviati nell’arco temporale intercorrente tra la visita medica comprovante l’inabilità e la certificazione.

Al riguardo, il Ministero, parte dal dato testuale dell’art. 3 della legge n. 68/99 prevede che i lavoratori che sono divenuti inabili a seguito dell’infortunio e della malattia possono essere computati nella quota di riserva di cui all’art. 3 a condizione che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60%, a condizione che l’inabilità non sia dipesa dall’inadempimento del datore di lavoro, accertato in sede giurisdizionale, delle norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro.

Al riguardo, la risposta ad istanza d’interpello in primo luogo, ricorda come il DL 112/2008, convertito in legge n. 133/2008, abbia abrogato la certificazione di ottemperanza rilasciata dagli uffici competenti.

Pertanto, concentrando l’attenzione sulla questione considerata , viene rimarcata la necessità di concentrare l’attenzione che ai fini della verifica della condizione di inabilità superiore al 60% di un lavoratore normodotato divenuto inabile nel corso del rapporto di lavoro, è indispensabile che il soggetto che rilasci la certificazione sia in grado di attestare entrambi i requisiti ( inabilità superiore al 60% e assenza di responsabilità datoriale).

lunedì 24 maggio 2010

Le tutele e i diritti dei lavoratori colpiti da patologie oncologiche

Dossier Ministero del Lavoro 7 maggio 2010

Nella quinta giornata nazionale dedicata al malato oncologico (che si celebra il 16 maggio per iniziativa della FAVO, Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia), il Ministero del Lavoro ha pubblicato sul sito istituzionale alcuni approfondimenti per ricordare le tutele dei lavoratori che siano colpiti da patologie oncologiche e dei loro familiari.
Accertamento dello stato di invalidità
L’accertamento dello stato di invalidità a seguito di visita medica presso l’apposita commissione ASL è propedeutico all’esercizio del diritto alle agevolazioni normative e ai benefici economici previsti.
L’iter di accertamento dello stato di invalidità di soggetti colpiti da patologie oncologiche è stato velocizzato. La Commissione medica dell’ASL è tenuta a fissare la data della visita di accertamento entro 15 dalla data di presentazione della domanda. Il verbale di accertamento dovrà essere emesso nei successivi 15 giorni con immediata efficacia ai fini dell’ammissione ai benefici connessi al riconosciuto stato di handicap.
Inoltre, dal 2010 è stata resa operativa una nuova procedura unificata a livello regionale e per tutti gli Enti interessati per l’accertamento dell’invalidità civile nonchè la verifica e l’erogazione degli specifici benefici. Le domande per le prestazioni assistenziali possono essere presentate direttamente all'INPS, in via telematica, per il tramite dei medici di famiglia ed altri soggetti qualificati ed autorizzati.
Periodo di comporto
In caso di frequenti o prolungate assenze per malattia del lavoratore il datore di lavoro non può procedere con il licenziamento (con preavviso) prima che sia trascorso il periodo di tutela stabilito dalla contrattazione collettiva e sancito dal Codice Civile (art. 2110). Contratti collettivi, quali Commercio Confcommercio/Confesercenti, Chimici farmaceutici Industria, Alimentari Industria e Artigianato, disciplinano specifiche tutele per i casi di malattie gravi dei lavoratori (prolungamento del periodo di comporto, possibilità di conservazione del posto di lavoro fruendo di un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita una volta esaurito il comporto ecc.) che dovranno dunque essere opportunamente verificati.
Trasformazione dell’orario di lavoro
Per agevolare il mantenimento del contesto lavorativo e sociale nel quale è già inserito, il lavoratore colpito da patologie oncologiche ha diritto alla trasformazione dell’orario di lavoro da tempo pieno a part-time (orizzontale o verticale) e viceversa. La residua capacità lavorativa dovrà essere accertata da apposita commissione medica dell’ASL.
L’accoglimento della sua richiesta di variazione d’orario costituisce un obbligo da parte del datore di lavoro, anche qualora sussistano contrarie esigenze aziendali che tuttavia possono essere evidenziate nell’atto di accettazione.
La nuova articolazione dell’orario di lavoro dovrà rispettare prioritariamente le esigenze del lavoratore malato e l’accordo di passaggio al tempo parziale dovrà essere convalidato presso la Direzione Provinciale del Lavoro, come previsto in via generale in materia di part-time.
Nel momento in cui migliora lo stato di salute del lavoratore con recupero della sua capacità lavorativa, questi avrà diritto al ripristino dell’orario di lavoro a tempo pieno o ad una variazione in aumento delle ore part-time.
È chiaramente salva ogni disposizione di miglior favore prevista dalla contrattazione collettiva e individuale e da regolamenti aziendali.
I più stretti familiari di lavoratori affetti da malattie oncologiche (coniuge, figli e genitori) hanno a loro volta un diritto di precedenza alla trasformazione ad orario ridotto del rapporto di lavoro. In forza di tale diritto, tra diverse domande di riduzione dell’orario di lavoro deve essere valutata in via preferenziale e d’urgenza la domanda presentata dal familiare del malato oncologico.
Permessi per handicap grave
Il lavoratore riconosciuto dalla commissione medica ASL affetto da stato di grave invalidità potrà beneficiare di appositi permessi ed esercitare il diritto al trasferimento nella sede aziendale più vicina alla propria dimora.
I permessi retribuiti sono riconosciuti a carico dell’INPS nella misura di 2 ore giornaliere (ridotti a 1 ora se l’orario di lavoro giornaliero è inferiore a 6) o, in alternativa, di 3 giorni lavorativi mensili (frazionabili anche ad ore), consegnando all’INPS e al datore di lavoro l’apposita modulistica (Hand3 – SR09).
Analoghi permessi spettano ai familiari (il modulo Hand2 – SR08 è scaricabile dal sito dell’INPS) nella misura di 3 giorni lavorativi mensili, anche frazionati ad ore, in caso di grave invalidità di coniuge, figli maggiorenni, parenti e affini maggiori di 3 anni di età.
Permessi per cure mediche
Il lavoratore che abbia una riduzione della capacità lavorativa superiore al 50% ha diritto altresì ad un congedo straordinario per cure mediche, fino a 30 giorni annui, retribuito a carico del datore di lavoro. Il congedo non rientra nella maturazione del periodo di comporto.
Congedi per gravi infermità e motivi familiari
In caso di grave infermità (documentata) dei familiari del lavoratore (coniuge, parente entro il secondo grado, anche non convivente, e componente della famiglia anagrafica) la legge riconosce 3 giorni lavorativi all'anno di permesso retribuito dal datore di lavoro. Il permesso deve essere fruito entro 7 giorni dall'accertamento dell'insorgenza della grave infermità o della necessità di provvedere a specifici interventi terapeutici.
In alternativa al permesso retribuito, il lavoratore può concordare diverse modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, anche per periodi superiori ai 3 giorni.
I permessi sono cumulabili con quelli previsti per l'assistenza delle persone con grave handicap.
Per gravi patologie dei componenti della propria famiglia anagrafica e di parenti o affini entro il terzo grado, anche non conviventi, affetti da handicap i lavoratori possono richiedere altresì un periodo di congedo, continuativo o frazionato, di durata non superiore a due anni nell'arco della vita lavorativa.
Il procedimento per la richiesta e concessione dei permessi è regolato dai contratti collettivi di settore.
Ai fini della fruizione del congedo deve essere presentata idonea documentazione sanitaria (certificazione del medico specialista del Servizio sanitario nazionale o convenzionato, del medico di medicina generale o pediatra di libera scelta o della struttura sanitaria nel caso di ricovero o intervento chirurgico). E' considerato idoneo il certificato redatto dallo specialista, purchè si tratti di certificazione medica rilasciata dalle strutture ospedaliere e dalle ASL, contenente la qualificazione medico-legale dello stato di grave infermità e la descrizione degli elementi della diagnosi clinica.
L’azienda è tenuta, entro 5 giorni dalla concessione del congedo, a comunicare alla Direzione provinciale del Lavoro i nominativi dei dipendenti che ne fruiscono e, al termine del rapporto di lavoro, a rilasciare attestazione del periodo di congedo fruito. Il licenziamento intimato a causa della domanda o della fruizione dei congedi per gravi infermità e motivi familiari è nullo.
Invalidità civile
Qualora al lavoratore sia riconosciuto lo stato di invalidità civile dalla commissione medica dell’ASL, il suo rapporto di lavoro può essere computato ai fini della copertura delle quote di riserva cui l’azienda è tenuta in base al numero di occupati previsti dalla normativa sul collocamento obbligatorio (Legge n. 68/1999), sempre che sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa almeno del 60%.

Riferimenti: Codice Civile artt. 2110 (comporto per malattia) e 2118 (recesso con preavviso); D.Lgs. n. 276/2003 (Riforma Biagi), art. 46; D.Lgs. n. 61/2000, art. 12 (part-time); Legge n. 53/2000, art. 4; DM n. 278/2000 (congedi per gravi infermità); D.Lgs. n. 151/2001, art. 54 (nullità del licenziamento); Legge n. 68/1999, art. 4 (collocamento obbligatorio); Legge n. 104/1992, art. 33 (permessi per handicap); Legge n. 509/1988, art. 10; Nota Ministero del Lavoro 5 dicembre 2006, Prot. n. 6893; Circolare Ministero del Lavoro n. 40/2005.

giovedì 20 maggio 2010

Iscrizione Enpals per dipendenti da case da giuoco e da palestre

I soggetti che vanno iscritti all’enpals obbligatoriamente, sono sensibilmente aumentati a seguito dell’approvazione del DM 15 marzo 2005 che ha inserito tra gli assicurati, una serie di soggetti precedentemente esclusi dall’assicurazione, circolare Inps n. 66 del 18 maggio 2010.

Stiamo parlando di soggetti per i quali in passato era scontata l’iscrizione all’Inps ma che a seguito dell’intervento normativo hanno visto determinarsi l’obbligo di iscrizione all’Enpals.

Le categorie di cui trattasi sono le seguenti;
1. impiegati e operai dipendenti da casa da giuoco, sale scommesse, sale giochi, ippodromi, scuderie di cavalli da corsa e cinodromi, prestatori d’opera addetti ai totalizzatori o alal ricezione delle scommesse, presso gli ippodromi e cinodromi, nonché presso le sale da corsa e le agenzie ippiche;
2. impiegati, operai, istruttori e addetti agli impianti sportivi di qualsiasi genere, palestre, sale fitness, stadi, sferisteri, campi sportivi, autodromi.

Per i lavoratori di cui al punto 1), è intervenuto l’interpello del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali il quale ha stabilito che i lavoratori che prestano l’attività lavorativa in qualità di impiegati e operai dipendenti da case da giuoco e dalle sale di scommesse, devono essere ai fini previdenziali obbligatoriamente iscritti presso l’Enpals, sempre che l’attività della sale da gioco e delle sale scommesse sia esercitata in modo esclusivo dal datore di lavoro.

Ed è proprio questo il requisito che determina per il soggetto, il discrimine tr iscrizione all’inps o all’Enpals.

Questo perché qualora non vi fosse autonomia per l’attività esercitata, e quindi di fatto il lavoratore venisse impiegato anche in altra attività tipica dell’esercizio commerciale, in questo caso l’azienda sarebbe classificata ai fini previdenziali nel settore terziario e i dipendenti conseguentemente sarebbero assicurati presso l’Inps.

Tale condizione prescinde dal tipo di scommessa che si andrebbe a porre in essere.
Per i prestatori d’opera addetti ai totalizzatori o alla ricezione delle scommesse, gli stessi sono obbligatoriamente iscrivibili all’Enpals a prescindere dal tipo di rapporto di lavoro ( autonomo o subordinato), a condizione che l’attività venga resa presso ippodromi o cinodromi ovvero presso le sale da corsa e le agenzie ippiche.

Per i lavoratori addetti a impianti sportivi, vanno ricompresi gli impiegati, gli operai, gli istruttori e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre, sale fitness, stadi sferisteri campi sportivi autodromi vanno iscritti obbligatoriamente all’Enpals.

Anche i dipendenti di palestre, sale fitness, impianti e circoli sportivi sono da ricomprendere tra i soggetti da iscrivere all’Enpals.

Un discorso a parte deve essere fatto per le palestre che svolgono attività estetica in via esclusiva o di recupero motorio continueranno ad essere inquadrate nel settore terziario o artigiano con obbligo di assicurazione all’inps dei propri dipendenti.

Per i titolari di impresa artigiana che svolgono le attività sopra indicate, viene mantenuta ferma l’obbligo di iscrizione contributiva presso l’Inps nella gestione speciale per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchia e superstiti degli artigiani e dei loro familiari coadiuvanti.
Qualora l’impresa artigiana assuma anche dipendenti, questi dovranno essere iscritti ai fini pensionistici all’Inps o all’Enpals secondo i criteri sopra esposti e che vengono ripresi in toto dalla circolare in argomento.

Contributi obbligatori 2010 per coltivatori diretti, coloni e mezzadri

Stabiliti gli importi per la contribuzione previdenziale e assicurativa per l’anno 2010 per una serie di figure di lavoratori autonomi che operano nel settore agricolo, circolare Inps n. 65 del 17 maggio 2010.

Si tratta dei coltivatori diretti, dei coloni, dei mezzadri e degli imprenditori agricoli professionali i quali versano la contribuzione I.V.S. sulla base del reddito convenzionale come indicato nella tabella D allegata alla legge 2 agosto 1990, n. 233.

Le aziende sono incluse in una fascia di reddito convenzionale corrispondente al reddito agrario dei terreni condotti e/o a quello determinato dall’allevamento degli animali.

La contribuzione dovuta è determinata moltiplicando il reddito convenzionale medio, come stabilito annualmente con Decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, sulla base della retribuzioni medie giornaliere degli operai agricoli, per il numero delle giornate indicate nella tabella D, nella quale deve essere preso a riferimento la fascia di reddito convenzionale in cui è inserita l’azienda , applicando le aliquote percentuali come di seguito indicate:

Con apposito decreto del Direttore generale per le Politiche previdenziali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 21 aprile 2010, è stato determinato il reddito medio convenzionale nella misura di € 50,35 per l’anno 2010.
Le aliquote da applicare per l’anno 2010, non sono cambiate rispetto agli anni precedenti e di seguito sono riassunte:
1. 18,30 ( ridotta a 15,80% per i soggetti di età inferiore a 21 anni) per la generalità delle imprese;
2. 15,30% ( ridotta a 10,80% per i soggetti di età inferiore a 21 anni) per le imprese ubicate in territori montani o in zone svantaggiate.


In considerazione del contributo addizionale del 2% previsto dall’art. 12, ultimo comma della legge 2 agosto 1990, n. 223, le aliquote complessive per il calcolo del contributo invalidità vecchiaia e superstiti dovute per l’anno 2010 dai coltivatori diretti, mezzadri, coloni ed imprenditori agricoli, ammontano rispettivamente a :
• Per i maggiori di anni 21
• 20,30% ( per le zone normali);
• 17,30% ( per i territori montani e le zone svantaggiate);

• per i minori di anni 21
• 17,80% ( per le zone normali);
• 12,80% ( per i territori montani e le zone svantaggiate);


Il contributo di maternità per l’anno 2010 è stabilito nella misura di € 7,49.


Per quanto riguarda la contribuzione Inail, il contributo dovuto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dai coltivatori diretti, mezzadri e coloni, per l’anno 2010 resta fermo nella misura capitaria annua di :
• € 768,50 ( per le zone normali);
• €532,18( per i territori montani e le zone svantaggiate)

mercoledì 19 maggio 2010

Ricorso al lavoro accessorio per appalto di servizi (stewarding)

Interrogazione Parlamentare 20/04/2010

A seguito di una recente Interrogazione Parlamentare presentata dal vice Presidente della Commissione Lavoro della Camera, On. Cazzola, sono delineabili alcuni aspetti di criticità, degni quantomeno di riflessioni, anche in un’ottica di prassi futura, in merito alla possibilità di ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio per determinate attività economiche.
In particolare, la questione riguarda il mancato rilascio da parte dell’INPS dei buoni lavoro per prestazioni accessorie (voucher) alle aziende appaltatrici di servizi di stewarding presso società calcistiche e fieristiche.
Secondo alcune riflessioni argomentate da un esperto giuslavorista, che si ritengono interessanti e che delineano rilevanti criticità nell’attuale ambito di applicazione del lavoro accessorio, emergono posizioni alquanto restrittive da parte dell’INPS, in un’ottica comprensibile di prevenzione di paventati ricorsi elusivi di diritti e tutele nell’ambito dei rapporti di lavoro, ma prive di riscontri nella legge.
Pur avendo formalmente mantenuto la stessa denominazione (occasionale accessorio), questa tipologia contrattuale ha infatti perso tutti i connotati di occasionalità. Tali prestazioni risultano ora utilizzabili anche per un ampio arco di tempo e per più committenti, sia per prestazioni occasionali (es. eventi sportivi e fieristici) sia per prestazioni continuative, sempre entro il limite reddituale di € 5.000 netti nell’anno solare per ogni committente.
L’orientamento dell’INPS, non condiviso da autorevoli giuslavoristi, è di legittimarne l’applicazione solo per prestazioni di lavoro discontinue e residuali, non già disciplinate da specifiche disposizioni di legge, sollevando dubbi e perplessità su quali siano in concreto le prestazioni residuali utilizzabili con i voucher.
A rilevare sarebbe invece la pura e sola prestazione contrattuale resa liberamente, entro un limite reddituale, con costi del lavoro estremamente contenuti (compensi, contributi previdenziali ridotti, infortuni sul lavoro e commissioni del servizio, escludendo TFR e applicazione del CCNL) e in esenzione fiscale, per un certo periodo di tempo, agevolando soprattutto la possibilità del lavoratore di collocarsi nel mercato del lavoro.
L’INPS ritiene inoltre che debba essere solo l’utilizzatore finale a retribuire il prestatore con i voucher, mentre è da escludere nell’ambito degli appalti e delle somministrazioni di lavoro per reclutare e retribuire lavoratori per prestazioni svolte a favore di terzi. Ma anche tale posizione pare non trovare riscontro alcuno nella legge e neppure rispettare lo spirito del legislatore di promozione di nuova occupazione.
Gli unici limiti riguardano infatti il compenso (non superiore a € 5.000 netti nell’anno solare), l’eventuale esistenza di un rapporto di lavoro part-time con lo stesso committente, la condizione soggettiva dei lavoratori accessori e l’ambito economico di svolgimento del lavoro accessorio.
Per dovere di completezza, si ribadisce che sono qui esposte soltanto delle riflessioni e che, tuttavia, la base di riferimento dell’attività ispettiva dell’INPS resta ad oggi costituita dalle Circolari citate n. 17/2010 e n. 88/2009, che potrebbero essere superate soltanto mediante ricorsi avanti il Giudice del Lavoro.

Riferimenti: D.Lgs. n. 276/2003, artt. 70 e ss.; Circolare INPS n. 17/2010; Circolare INPS n. 88/2009.

Sospensione dell’attività di riscossione coattiva

Un nuovo tipo di attività si intende instaurare tra l’Agente della riscossione e il debitore nei confronti del quale è avviata la procedura esecutiva.

Tale rapporto vuole evolvere verso una diversa gestione del contenzioso ed anche verso una maggiore trasparenza dell’attività amministrativa.

Per tale ragione Equitalia spa, con la circolare 6 maggio 2010, n. 4003, esprime la propria posizione in merito e mette a disposizione degli interessati un modello con il quale inviare comunicazioni in merito all’esito del credito per il quale è stata avviata la procedura esecutiva.

L’attività di recupero del credito non può prescindere dall’esistenza di un valido titolo esecutivo che naturalmente deriva da un atto amministrativo.

Tale atto amministrativo può aver subito nel tempo delle modifiche che hanno interessato comunque la sua condizione, senza che l’agente della riscossione ne sia venuto a conoscenza.
Pertanto in queste situazioni, il debitore può comunque inviare in qualsiasi momento della procedura cautelare/esecutiva, una comunicazione con la quale produca gli atti o i documenti che giustificano la sua posizioni di non voler procedere al pagamento di quanto richiesto in quanto la cartella di pagamento o l’avviso per il quale si procede, sono stati interessati da:
1. Da un provvedimento di sgravio emesso dall’ente creditore in conseguenza della presentazione di un’istanza di autotutela da parte del debitore;
2. Da una sospensione amministrativa comunque concessa dall’Ente creditore citato;
3. Da una sospensione giudiziale, oppure da una sentenza della Magistratura adita, emesse in un giudizio al quale l’agente della riscossione non ha preso parte;
4. Da un pagamento effettuato in data antecedente alla formazione del ruolo, in favore dell’ente creditore, sempreché sia facilmente ed univocamente riconducibile allo stesso ruolo.
In tutte queste ipotesi il debitore è tenuto ad inviare all’agente per la riscossione una dichiarazione redatta secondo il modello allegato alla circolare di Equitalia in commento.

Ottenuta tale dichiarazione e limitatamente alle partite relative agli atti espressamente indicati dal debitore, al fine di ottenere conferma dell’esistenza delle ragioni di quest’ultimo Equitalia è tenuta a richieder conferma all’Ente creditore della veridicità di quanto dichiarato dal debitore.
L’inail e l’enpals con due circolari del 17 maggio 2010, hanno dato disposizione ai propri uffici.

Ricevuta la dichiarazione da parte dell’agente per la riscossione, devono immediatamente dare risposta a quanto sollecitato.

Anche perché nelle more della presentazione della documentazione,la cartella esattoriale rimane sospesa e grava sull’ente la responsabilità del mancato recupero del credito.

martedì 18 maggio 2010

IVA su prestazioni alberghiere e di ristorazione e deducibilità dagli imponibili fiscali

Risoluzione Agenzia delle Entrate 31 marzo 2009, n. 84/E

Non è deducibile dalle basi imponibili delle imposte sui redditi (IRPEF/IRES) e IRAP l’IVA corrisposta sulle spese alberghiere e di ristorazione, qualora manchi il prescritto documento fiscale dal quale deve risultare (fattura) - non risultando infatti sufficienti altri documenti, quali la mera ricevuta fiscale o lo scontrino - oppure il contribuente abbia rinunciato alla detraibilità per ragioni di convenienza economica.

E’ quanto è intervenuta a ribadire l’Agenzia delle Entrate, confermando le indicazioni già contenute in precedenti circolari ed estendendole ora anche ai fini della determinazione della base imponibile IRAP.

Come noto, è stato abrogato il regime di indetraibilità dell’IVA relativa alle prestazioni alberghiere e alle somministrazioni di bevande ed alimenti. In suo luogo, è stata prevista la parziale deducibilità delle predette spese dal reddito d’impresa (75%, ad eccezione delle trasferte di dipendenti e collaboratori fuori dal Comune di lavoro deducibili al 100%) e di lavoro autonomo (75% e comunque per importi non superiori al 2% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta).

Si ricorda in ogni caso che le spese per vitto/alloggio non sono detraibili ai fini IVA, a prescindere dal documento fiscale dal quale risultano, se qualificate come spese di rappresentanza.

La posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria sembra piuttosto restrittiva rispetto ad un importante concetto vigente in materia fiscale, il principio di inerenza che individua e quantifica la deducibilità o meno di determinati costi dalla base imponibile. Nell’ipotesi di rinuncia per convenienza economica alla detrazione IVA (ad esempio, per costi amministrativi e gestionali a fronte degli importi IVA di valore unitario contenuto) può essere comunque perseguita dall’imprenditore una valutazione di maggiore risultato economico e, pur tuttavia, l’impresa sopporta il danno economico della mancata deducibilità del costo sostenuto.

Riferimenti: Legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 83, commi 28 bis – 28 quater; DPR n. 633/1972, artt. 19 e 19 bis, comma 1, lett. e); TUIR art. 54, comma 5 e art. 109, comma 5; Circolare Agenzia delle Entrate 5 settembre 2008, n. 53/E; Circolare Agenzia delle Entrate 3 marzo 2009, n. 6/E.

lunedì 17 maggio 2010

Disposizioni in materia di accredito di contribuzione figurativa in favore delle lavoratrici iscritte alla Gestione separata

Le lavoratrici a progetto e le atre categorie assimilate, nonché le associate in partecipazione, hanno diritto all’astensione prevista dagli artt. 16, 17 e 22 del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, circolare Inps n. 64 del 13 maggio 2010.
Tale disposizione è stata introdotta a suo tempo dall’art. 1, comma 791 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 ( finanziaria 2007) che estendeva alle lavoratrici non subordinate una serie di diritti e di prerogative proprie di quelle subordinate, legate al periodo di interdizione dal lavoro per gravidanza e al divieto di impiego delle lavoratrici durante il periodo di congedo obbligatorio.
Di fatti la normativa sopra richiamata, estende ai committenti il divieto di impiegare le lavoratrici a progetto e le altre categorie assimilate, nonché le associate in partecipazione durante il periodo in cui vige il divieto previsto dagli artt. 16 e 17 del T.U. 151/2001 ( due mesi prima e tre mesi dopo il parto).
La normativa entrata in vigore lo scorso 7 novembre 2007 prevede che per i periodi di astensione dal lavoro per i quali è corrisposta l’indennità di maternità, vengano accreditati i contributi figurativi ai fini dl diritto alla pensione e della determinazione della misura della stessa.
Il diritto alla contribuzione figurativa, chiarisce la circolare n. 13/2010, viene previsto per tutti quei casi per i quali è corrisposta l’indennità di maternità, sia nei casi di congedo di maternità ( ordinario e/o anticipato o prorogato), sia in quelli di congedo di paternità.
Per le lavoratrici a progetto, ai sensi dell’art. 1, comma 788 della legge 296/2006, viene riconosciuta un’indennità per congedo limitatamente ad un periodo di tre mesi entro il primo anno di vita del bambino oppure entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato.
Tali periodi sono coperti da contribuzione figurativa ai fini del diritto alla determinazione della misura della pensione.
A tal fine il calcolo della contribuzione figurativa prende a riferimento i principi dettati dall’art. 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155, in base al quale il valore dei contributi figurativi deve essere calcolato prendendo a riferimento la retribuzione percepita nello stesso anno solare nel quale è collocato il periodo di astensione o di interdizione dal lavoro da riconoscere al soggetto avente diritto. Qualora nell’anno solare non risulti corrisposta alcuna retribuzione, il valore da accreditare al periodo figurativo sarà calcolato sulle retribuzioni dell’anno solare immediatamente precedente.
Le modalità di calcolo richiamate dalla circolare determinano la contribuzione figurativa prendendo il reddito medio di riferimento che andrà moltiplicato per il numero dei giorni di fruizione dell’indennità.
Il reddito medio di riferimento risulta pari al reddito conseguito nell’anno di riferimento, rapportato al periodo dell’anno non coperto da indennità di maternità, senza computare i periodi antecedenti la prima iscrizione alla gestione separata.
Il valore medio così determinato verrà applicato ad ogni giorno di fruizione dell’indennità di maternità.

Estratto conto elettronico e cud previdenziale

Il rapporto tra l’Inps e il cittadino viaggio attraverso al rete informatica. Cogliendo le multiformi possibilità fornite dalla telematica, l’Inps vara una procedura tutta nuova che consentirà ai cittadini di verificare la propria situazione contributiva direttamente da casa, accedendo alla propria situazione previdenziale, che viene contenuta, alla stregua di quanto previsto dall’Agenzia delle Entrate, in un cassetto previdenziale.

Ad annunciarlo è la circolare n. 63 dell’11 maggio 2010 con la quale vengono presentati questi nuovi servizi e soprattutto viene incentivato l’uso della posta elettronica certificata che, si ricorda, l’Inps mette gratuitamente a disposizione di tutti i cittadini. La casella di posta elettronica certificata, viene detto, costituisce un punto di scambio di notevole importanza tra Inps e cittadino e la comunicazione, ha lo stesso valore legale di una lettera raccomandata.

Gli assicurati con le nuove procedure, potranno visualizzare on line la situazione assicurativa e contributiva individuale risultante presso le gestioni assicurative amministrate dall’Inps, costituendo un riferimento completo ed essenziale per garantire l’erogazione dei servizi in tempo reale.
A tutti gli assicurati, verrà inviato un codice di identificazione personale (PIN) che consentirà l’accesso all’archivio e la visualizzazione dell’estratto conto individuale che risulterà sempre aggiornato ai dati inseriti dall’Istituto previdenziale.
In tal modo il contribuente potrà controllare in tempo reale la completezza e al correttezza dei dati di proprio interesse e segnalare all’Istituto i dati errati o mancanti attraverso l’applicazione delle segnalazioni contributive.

A tutti gli iscritti all’assicurazione obbligatoria o alla gestione separata, arriverà nei prossimi mesi una lettera contenente la prima parte del Pin con il quale accedere alal banca dati. La seconda parte del Pin sarà possibile ottenere contattando l’apposito numeroo del call center 803164.

I soggetti già in p ossesso del Pin, riceveranno solo una lettera con la quale viene illustrata l’intera procedura. Una volta ottenuto il Pin, gli interessati, come precisato dalla circolare n. 63, saranno invitati ad attivare la casella di posta elettronica certificata recandosi presso una delle sedi provinciali dell’Istituto.

Ottenuta la casella di posta elettronica certificata , potranno accedere ai nuovi servizi offerti dall’Inps, segnalando, i n modo congruo e documentato, le eventuali anomalie che dovessero riscontrare nella propria posizione contributiva.

Verifica autocertificazioni Durc

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con la lettera circolare n. 1472 del 12 maggio 2010, interviene sulla questione sollevata da alcune Direzioni provinciali del lavoro, in merito alle verifiche delle autocertificazioni presentate dai datori di lavoro per godere delle agevolazioni contributive e normative collegate alla normativa sul Durc.
Di fatti, il Dm 24 ottobre 2007, ha previsto delle condizioni particolari per i soggetti che intendono accedere ai benefici di natura contributiva e normativa, subordinandoli alla regolarità e alla congruità del versamento dei contributi previdenziali e assistenziali che dovrà essere attestata dall’emissione di un durc regolare.
Tale documento di regolarità contributiva, unico, in quanto costituito mediante il contributo di tutti gli enti previdenziali nei confronti dei quali il soggetto è tenuto al versamento, attesta la regolarità del soggetto nei versamenti previdenziali e assicurativi ma non contiene prova riguardo le altre condizioni previste dalla norma.
In particolare stiamo parlando dell’autocertificazione riguardo la non commissione di determinati illeciti in merito a violazioni contenute nell’allegato A del DM 24 ottobre 2007, che in buona sostanza contemplano violazioni di natura prevenzionistica e gravi violazioni nell’impiego di soggetti con i quali non è possibile instaurare un rapporto di lavoro ( extracomunitari clandestini, minori,…).
Nell’allegato A sono anche indicati i termini che devono decorrere dalla commissione dell’illecito affinché lo stesso non sia più motivo per l’emissione di un durc non regolare.
Tale condizione di regolarità del titolare dell’impresa o del legale rappresentante, doveva essere oggetto di apposita autocertificazione inviata alla Direzione Provinciale del lavoro nel termine del 30 aprile 2009, nel primo periodo di applicazione della norma.
Venendo al contenuto della lettera circolare, viene ribadito come l’Inps e l’Inail ,prima di concedere i benefici, sono tenuti a richiedere alla Direzione Provinciale del lavoro che attesti l’avvenuto invio dell’autocertificazione da parte del soggetto interessato. La Direzione provinciale del Lavoro sarebbe tenuta a rispondere alla richiesta nel termine di 30 giorni dall’istanza; decorso tale termine, gli Istituti possono procedere alla concessione del beneficio contributivo.
Tuttavia viene precisato che la mancata presentazione dell’autocertificazione, non è di per se stessa causa per la mancata concessione dei benefici, in considerazione del fatto che la stessa di appalesa come un mero adempimento formale.
Di fatti, il soggetto che pur non avendo presentato nei termini la richiesta, può comunque farlo successivamente, sempre che sia in possesso dei requisiti richiesti dalla norma. Sono quindi questi quelli, i presupposti da tenere in considerazione per al concessione delle agevolazioni.

La lettera circolare si chiude con la pare dedicata ai controlli. In questo senso viene auspicata un’intesa particolare tra Direzione provinciale del Lavoro, Inps e Inail al fine di individuare criteri utili a far emergere situazioni illecite per le quali è più probabile l’intento di violare al norma.
Risulta necessario ricordare che i controlli potranno essere disposti dalle direzioni Provinciali del Lavoro anche successivamente ai trenta giorni trascorsi dalla richiesta pervenuta dall’Inps o dall’Inail.

sabato 15 maggio 2010

Durc favorevole se c’è obbligo solidale

Le imprese che in conseguenza della conclusione di un contratto di appalto sono tenute all’obbligo solidale per le prestazioni previdenziali e assicurative nei confronti del dipendente dell’appaltatore, hanno comunque diritto all’emissione di un durc favorevole. Nelle note del Durc, andrà comunque segnalata la responsabilità solidale in capo all’appaltante, messaggio Inps, 4 maggio 2010, n. 12.091.
Il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, nella risposta ad istanza d’interpello n.3/2010 del 4 aprile 2010, si era a suo tempo occupato della questione relativa alla responsabilità solidale in materia di appalti, e della conseguente responsabilità contributiva in capo all’appaltante e di come questa andava ad incidere sull’emissione del durc.
In particolare , si ricorda, che l’art. 35, comma 28 del decreto legge n. 223/2006, convertito in legge n. 248/2006, prevede a carico dell’appaltatore una responsabilità solidale che riguarda il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e per quelli relativi alle malattie professionali.
In tali ipotesi, veniva richiesto, qual è la posizione dell’appaltatore che comunque mantiene una responsabilità solidale nei confronti del subappaltatore, il quale a sua volta risulta inadempiente nei confronti degli istituti per i versamenti previdenziali.
Nella risposta ad istanza d’interpello, il Ministero del lavoro aveva sottolineato come il rapporto previdenziale non può che essere univoco. Per tale ragione, l’appaltatore che ha una posizione di regolarità contributiva, per tale ragione ha diritto all’emissione di un durc favorevole. La responsabilità solidale che il Legislatore ha voluto accollargli in ragione della conclusione di un appalto, non può per sua ragione essere d’impedimento all’emissione del durc, a fronte di una regolarità legata al suo rapporto contributivo e assicurativo.

Tuttavia, conclude il messaggio Inps, al fine di rendere completo il documento di cui trattasi, nelle note dello stesso andrà riportata l’annotazione che segnala l’esistenza della responsabilità solidale a cui è chiamato l’appaltatore in ragione degli oneri contributivi da versare in favore dei dipendenti impegnati nell’appalto. Ai fini di garantire la massima trasparenza, andrà specificata al denominazione sociale dell’azienda sub appaltatrice, il numero di posizione contributiva, nonché l’importo della somma dovuto a titolo di obbligazione solidale.

Assunzione di disabili nella Provincia di Milano: gli incentivi economici del Piano EMERGO 2010

Avviso 4 – IA3 approvato il 29/04/2010 - Delibera di Giunta Provinciale n. 37/2010

Nell’ambito del Piano Emergo della Provincia di Milano sono stati stanziati incentivi economici per nuovi contratti di lavoro subordinato (nuove assunzioni e trasformazioni di contratti a termine), decorrenti dal 4 maggio 2010, di persone con disabilità presso aziende aventi sede operativa nella Provincia di Milano. Sono destinatari degli incentivi le persone disabili residenti e/o domiciliati in Provincia di Milano.
Le misure degli incentivi (a fondo perduto) sono differenti a seconda della tipologia contrattuale e della disabilità del nuovo assunto:
€ 4.000,00 per un contratto a tempo indeterminato (rientra in questa categoria il contratto di apprendistato);
€ 3.000,00 per un contratto a tempo determinato (almeno 12 mesi), anche successivamente a uno o più rinnovi;
€ 1.000,00 per la trasformazione di un contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.
L’incentivo è maggiorato di ulteriori € 1.000,00 per i nuovi contratti a tempo pieno nonché per i contratti riguardanti soggetti disabili deboli. Pertanto, l’incentivo può raggiungere l’importo massimo di € 6.000,00. Nel rispetto dei limiti vigenti in materia di aiuti di Stato (cd. “de minimis”), le imprese non devono avere beneficiato di agevolazioni a titolo di aiuti “de minimis” superiori a € 500.000,00 nell’esercizio finanziario in corso e nei 2 precedenti (DPCM 3 giugno 2009).
In base alla natura giuridica del datore di lavoro, l’incentivo sarà assoggettato alla ritenuta fiscale del 4% (DPR n. 600/1973, art. 28).
I nuovi contratti possono essere stipulati sia nell’ambito delle convenzioni con gli Uffici provinciali del collocamento obbligatorio sia al di fuori del regime delle convenzioni.
Le nuove agevolazioni in argomento sono cumulabili con gli altri incentivi già previsti dal Fondo nazionale per l’occupazione dei disabili dalla Legge n. 68/1999.
Gli incentivi del Piano EMERGO 2010 possono essere erogati una volta soltanto per la stessa azienda e lo stesso lavoratore nel triennio 2010 – 2012 e, comunque, non oltre il 31/03/2011. L’esito della pratica sarà comunicato dalla Provincia esclusivamente tramite posta elettronica.
Gli incentivi ricevuti dovranno essere restituiti qualora dovesse intervenire il licenziamento del lavoratore assunto a tempo indeterminato nei primi 12 mesi.
Il form di richiesta deve essere compilato direttamente dall’azienda o tramite gli intermediari autorizzati (consulenti del lavoro, commercialisti, associazioni di categoria ecc.) disponibile nell’AREA PERSONALE sul sito della Provincia all’indirizzo http://www.provincia.milano.it/lavoro/LOGIN/index.html cliccando l’icona “Emergo 2010”.
Le risorse finanziarie stanziate (sino ad esaurimento) ammontano a € 1.218.136,00.
La richiesta per accedere agli incentivi potrà in ogni caso essere inoltrata soltanto una volta superato il periodo di prova.
Per la validità della domanda occorre prestare particolare attenzione alle modalità di presentazione, a seconda che l’azienda sia o meno in possesso della firma digitale. Infatti, qualora il datore di lavoro ne sia privo, successivamente alla compilazione del form on line, dovranno essere consegnate (esclusivamente) a mano la domanda sottoscritta e la documentazione richiesta in allegato. La busta contenente la domanda dovrà essere consegnata all’ufficio Protocollo della Provincia di Milano, Viale Jenner 24 riportando la seguente dicitura:
Provincia di Milano – Settore Lavoro – Dote Lavoro Ambito Disabilità – Incentivi.
Per richiedere ulteriori dettagli ed approfondimenti è stato istituito il seguente indirizzo e-mail emergo2010@provincia.milano.it.

Riferimenti: Legge n. 68/1999, art. 14; Legge Reg. Lombardia n. 19/2007; Legge Reg. n. 22/2006; Legge Reg. n. 13/2003; DPCM 3 giugno 2009; Reg. CE n. 800/2008; Delibera Giunta Reg. 25 novembre 2009, n. VIII/010603; Delibera Giunta Reg. n. 11137/2010; Delibera Giunta Prov. 26 gennaio 2010, n. 37; Decreto Reg. 12 marzo 2010, n. 2343; Disposizione dirigenziale n. 84/2010 del 29/04/2010.

Prestazioni di sostegno al reddito: scaricabili dal sito i nuovi modelli INPS

Messaggio INPS 12/05/2010, n. 12909

Sul sito dell’INPS nella sezione della modulistica sono scaricabili le nuove versioni dei seguenti moduli per le richieste delle prestazioni di sostegno al reddito da inoltrare all’Istituto, che in parte ne accorpano altri.

Prestazioni a sostegno del reddito familiare
ANF 42 (SR 03)
AF4/AGR/SPEC (SR 15)
ANF/DIP (SR 16) – accorpa ANF/VAR (SR31) eliminato
ANF/GEST SEP (SR 27) – accorpa ANF/VAR (SR31) eliminato
ANF/PREST (SR 32) – accorpa ANF/VAR (SR31) eliminato
CD/CM 71TP (SR 35)
ANF/559 (SR 56) – accorpa ANF/DIP 559 (SR 56) e ANF/PREST 559 (SR 57) per la richiesta di pagamento disgiunto dell’assegno per il nucleo familiare
ANF/NN (SR 61)
ANF/FN (SR 65)
AF 20 (SR 70)

Integrazioni salariali
IG Str Aut (SR 41)
SR 78 Ant amm (SR 78)
IG15-IND (SR 21)
IG15-ED (SR 38)
IS-AGR-IMP (SR 43)
Mod DID (SR 105)

Prestazioni connesse alla cessazione dell’attività lavorativa
DS 21 (SR 05)
DS 21 Req rid (SR 17)
DS 21 Ant (SR 24)
DS Sosp (SR 72)

Prestazioni integrative della retribuzione e dei Trattamenti di fine rapporto
TFR Dich sost (SR 30)
TFR CL (SR 50)
TFR CL eredi (SR 75)
PPC D Eredi (SR 93)
PPC Fond Eredi (SR 94)
PPC CUR Sost (SR 96)
PPC D (SR 97)
Saranno oggetto di prossima divulgazione i nuovi moduli TFR CLbis (SR52) e TFR CLter sost (SR53) che accorpano i moduli CL (SR 54) e CL Sost (SR 55).

Prestazioni connesse alla diminuzione della capacità lavorativa
DEG.OSP/MAL.GEST.SEP. (SR06) che unifica i modelli DEG.OSP/GEST.SEP. (SR06) e MAL/GEST.SEP. (SR62)

L’INPS ha preannunciato che è tuttora in corso la revisione di ulteriore modulistica in merito alla quale fornirà successivi aggiornamenti.

venerdì 14 maggio 2010

Contributi dedotti rimborsati e tassazione fiscale

Parere Fondazione Studi Consulenti del Lavoro 15/04/2010, n. 13

Al vaglio della Fondazione Studi è stata sottoposta l’ipotesi del rimborso da parte della Cassa previdenziale di settore dei contributi versati dall’iscritto che non abbia raggiunto il minimo per la liquidazione del corrispondente trattamento pensionistico. In particolare, oggetto di disanima è stato il corretto trattamento fiscale da applicare alle somme rimborsate all’iscritto e costituite, in prevalenza dai contributi versati e non dovuti e in parte dagli interessi attivi maturati sulle somme non dovute.

Se è pacifico l’assoggettamento a tassazione separata dell’ammontare dei contributi rimborsati dalla Cassa, più controversa è la questione della tassazione o meno degli interessi attivi correlati. Ed in effetti non si tratta di una questione di poco conto, considerando, come si dirà meglio più avanti, che emergerebbero dalle disposizioni fiscali vigenti in materia delle incoerenze, peraltro mai oggetto di esame in sede ministeriale o giurisprudenziale.
In merito alla tassazione dei contributi rimborsati, è previsto che i contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori (versati in ottemperanza di obblighi di legge) nonché volontari (versati facoltativamente), devono essere indicati in aumento del reddito complessivo tassabile, qualora successivamente rimborsati, nella dichiarazione dei redditi del periodo d’imposta in cui il contribuente ha incassato le somme a rimborso. Ciò in quanto gli stessi contributi costituiscono oneri deducibili dal reddito imponibile, anche sostenuti per i familiari fiscalmente a carico.
In particolare, nel rigo RM8 del modello UNICO Persone fisiche 2010 devono essere indicate le somme incassate nell’anno 2009 a titolo di sgravio, rimborso o restituzione di oneri già dedotti dal reddito complessivo o per i quali si è fruito di detrazioni nei precedenti periodi d’imposta.

Quanto agli interessi corrisposti dalla Cassa contestualmente al rimborso delle somme già incamerate, si tratta di interessi compensativi, in quanto hanno la funzione risarcitoria di reintegrazione di una perdita patrimoniale per la mancata disponibilità di somme pagate ma non dovute.

Secondo le nuove disposizioni fiscali in vigore dal 1° gennaio 2004, gli interessi compensativi e di mora sono da assoggettare a tassazione ed esclusivamente in relazione alla categoria di reddito della quale ne costituiscono un accessorio. Gli interessi compensativi vanno tenuti distinti rispetto agli interessi di mora, che invece maturano dalla costituzione in mora del debitore.

Secondo un orientamento espresso in passato dal Ministero delle Finanze, gli interessi compensativi sono da ricomprendere nell’ambito dei redditi di capitale.
Diverso invece il parere espresso dal Comitato scientifico della Fondazione Studi, secondo il quale gli interessi compensativi, in quanto di mera reintegrazione di una perdita patrimoniale, non debbano avere natura reddituale e pertanto non debbono concorrere alla formazione del reddito del contribuente e non ne costituiscono neppure degli accessori dello stesso. Per logica e coerenza delle pretese dell’Erario, il prelievo fiscale sugli interessi compensativi (e di mora) considerati “tassabili” dovrebbe essere controbilanciata dalla deducibilità fiscale della corrispondente perdita patrimoniale, misura ad oggi non contemplata.

Tale è l’autorevole orientamento della categoria che, per completezza, sottolinea come le disposizioni del Decreto di riforma dell’IRES in materia non sono state ancora oggetto di argomentazioni in specifiche pronunce ministeriali né giurisprudenziali.

Riferimenti: DPR n. 917/1986, artt. 6 e 10, co. 1, lett. e) e art. 17, co. 1, lett. n-bis); Circolare Ministero delle Finanze 22 dicembre 1980, n. 40; Cass. Civ. 12 febbraio 2010, n. 3397; Cass. Civ. 4 febbraio 2004, n. 2087.

mercoledì 12 maggio 2010

Il rimborso dei vaucher non utilizzati

In caso di smarrimento o furto del vaucher, è possibile richiedere alla sede Inps competente l’emissione di un nuovo vaucher in sostituzione di quello smarrito, messaggio Inps n. 12.082 del 4 maggio 2010.
I vaucher, come noto, sono stati introdotti dalla legge Biagi ella parte in cui si tratta del lavoro accessorio. Il lavoro accessorio comprende quelle attività che non devono essere qualificate nelle ordinarie ripartizioni delle prestazioni di lavoro , ma che riguardano attività marginali, rese in situazioni e condizioni particolari.
Tali attività vengono remunerate con i vaucher, ossia dei buoni che si acquistano presso l’inps o presso altri concessionari del valore orario di dieci euro e che contengono una quota di retribuzione e una quota che va a coprire gli oneri contributivi e assicurativi a carico del committente.
In caso di furto o di smarrimento del vaucher, il committente o il lavoratore devono rivolgersi alla sede provinciale Inps che ha emesso il titolo.
In tale ipotesi deve essere presentata apposita istanza, utilizzando il modello allegato al presente messaggio e producendo altresì la ricevuta del pagamento dei vaucher a suo tempo effettuata.
In caso di furto o di smarrimento è di tutta evidenza che deve essere prodotta anche la relativa denuncia.
L’Inps una volta verificata la regolarità dell’istruttoria, provvede a liquidare la somma richiesta o a riaccreditare il vaucher a seconda del fatto che la domanda provenga dal lavoratore o dal committente.
In caso di richiesta proveniente dal committente, che intende ancora utilizzare i vauchere, la procedura è leggermente diversa.
In questo caso l’Inps, ricevuta la richiesta, dovrà provvedere ad annullare i vecchi vaucher e ad emetterne di nuovi. Nell’istruttoria saranno coinvolte le Poste Italiane e la sede centrale che si occupa dell’emissione dei vaucher.
Per i rimborsi dei vaucher inutilizzati, invece, il titolare sarà tenuto a riconsegnarli alla sede inps competente, che avrà cura di ritirarli e di annullarli. In questo caso la somma netta che verrà restituita al titolare del vaucher sarà scorporata dell’importo del 5% pari all’importo riconosciuto al concessionario a titolo di convenzione.
Una volta verificata la regolarità dell’istruttoria, l’Inps provvederà ad accreditare sul conto, l’importo netto del controvalore dei vaucher.
Il messaggio si chiude con un’ultima parte dedicata ai lavoratori beneficiari di prestazioni integrative del salario o a sostegno del reddito che possono svolgere attività di lavoro accessorio in misura non superiore all’importo annuo di 3 mila euro.
La contribuzione derivante dal ricorso ai vaucher, va ad integrare la contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno del reddito al fine di un parziale ristorno della stessa.

Contribuzione dirigenti di aziende industriali: il Fondo illustra gli aspetti applicativi

Circolare PREVINDAI 12 aprile 2010, n. 33/Imprese

Il Fondo di previdenza integrativa dei dirigenti di aziende industriali illustra con recente circolare alcuni aspetti operativi delle nuove misure contributive introdotte dal 1° gennaio 2010 dall’Accordo 25 novembre 2009 di rinnovo del CCNL Dirigenti di aziende industriali.

Contribuzione aziendale annua minima
In favore dei dirigenti con anzianità nella qualifica presso l’azienda superiore a 6 anni compiuti e che versino anche la quota contributiva a proprio carico, è stato introdotto un minimale annuo con le seguenti decorrenze:

- € 4.000,00 dal 2010;
- € 4.500,00 per il 2012;
- € 4.800,00 dal 2013.

Alla determinazione della contribuzione annua minima concorre anche la quota aggiuntiva eventualmente a carico della stessa azienda.

In merito alla maturazione dell’anzianità nella qualifica di dirigente presso l’impresa, il Fondo ha precisato che:

 non si devono conteggiare i periodi di aspettativa non retribuita;
 in caso di cessazione del rapporto di lavoro, non è utile per l’insorgenza dell’obbligo del versamento sul minimale il compimento dei 6 anni di anzianità durante il preavviso;
 in caso di passaggi infragruppo o per operazioni societarie straordinarie (incorporazioni o fusioni aziendali) l’anzianità nella qualifica dirigenziale si calcola dalla data di nomina o assunzione riferita al primo rapporto, sempre che l’anzianità non sia stata già computata a seguito del passaggio “diretto” senza liquidazione delle competenze di fine rapporto.

Le verifiche dell’obbligo di eventuali integrazioni della quota minima annua devono essere effettuate dall’azienda entro il 31 dicembre di ogni anno (con versamento delle quote a conguaglio unitamente al debito contributivo riferito al 4° trimestre) o in sede di cessazione del rapporto di lavoro, qualora sia precedente (con versamento delle quote a conguaglio unitamente al debito contributivo riferito al trimestre in cui è avvenuta la cessazione).

Possono esserci casi in cui la soglia minima di contribuzione annua debba essere riproporzionata in base alle frazioni, pari o superiori a 15 giorni, dei mesi di insorgenza dell’obbligo. Si possono infatti verificare in corso d’anno:

 la maturazione dell’anzianità aziendale. Nella verifica della contribuzione versata per il calcolo di un eventuale conguaglio si deve conteggiare anche la contribuzione dovuta sulle mensilità aggiuntive ed altre erogazioni non ricorrenti e solo con riferimento alla relativa maturazione nei mesi di competenza, ovvero di maturazione dei requisiti per la contribuzione aziendale minima;
 l’adesione al Fondo/la cessazione del rapporto di lavoro;
 la scelta del dirigente che già conferisce il 100% del TFR di versare anche la quota minima a proprio carico;
 la fruizione di periodi di aspettativa non retribuita.

In caso di cessazione con pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso (voce imponibile) il periodo da considerare per il riproporzionamento del livello minimo annuo comprende anche i mesi cui si riferisce l’indennità sostitutiva (così come previsto anche per il massimale contributivo).

Se il periodo cade a cavallo tra due anni, la soglia di contribuzione minima deve essere riproporzionata in base ai mesi che ricadono in ciascun anno e devono essere applicati il minimale e l’aliquota contributiva in vigore al momento della cessazione.

Contribuzione aziendale aggiuntiva
Dal 2010 è inoltre stata prevista la facoltà dell’azienda di versare al Fondo una quota contributiva aggiuntiva rispetto alla quota minima, senza limiti di massimale.
Tale facoltà può essere esercitata in favore dei dirigenti (generalità dei dirigenti o anche singoli posizioni) che già pagano la quota minima (a prescindere da eventuali quote aggiuntive) sulla base di accordi aziendali o individuali ed anche per volontà unilaterale del datore di lavoro.

Le modalità di versamento sono varie. Possono essere effettuati versamenti periodici o una tantum e i contributi sono determinati in cifra fissa o in percentuale sull’importo della retribuzione utile ai fini del TFR. La scelta dell’azienda di versamento della contribuzione aggiuntiva dovrà essere indicata nella dichiarazione contributiva (modulo 050) nella procedura di compilazione on line sul sito www.previndai.it, compilando gli appositi campi disponibili.

martedì 11 maggio 2010

I criteri di scelta per la legittimità della procedura di licenziamento collettivo

Cass., Sez. lav., 07/04/2010, n. 8237

Aspetto fondamentale per la validità e l’efficacia della procedura di licenziamento collettivo è costituito dalla definizione dei criteri di scelta sulla base dei quali saranno individuati i lavoratori interessati dal licenziamento. L'inosservanza dei criteri di scelta comporta infatti l'annullabilità del licenziamento su istanza del lavoratore interessato. Qualora il giudice dichiari l’illegittimità del licenziamento, ne dispone la reintegrazione nel posto di lavoro.

L'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale.

Tali criteri devono essere definiti dagli accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali, che debbono essere informate per iscritto della decisione aziendale di procedere ai licenziamenti collettivi. In mancanza di accordo collettivo, i criteri sono individuati dalla legge: carichi di famiglia, anzianità di servizio, esigenze tecnico-produttive e organizzative. Non è richiesto che sussistano contemporaneamente e può esserne privilegiato uno rispetto agli altri.

La Suprema Corte interviene ora a ribadire il consolidato orientamento della giurisprudenza che riconosce come del tutto legittimi tutti i criteri di scelta e questo, si sottolinea, in contrasto con la prevalente dottrina secondo la quale risulterebbe prioritario, rispetto a tutti, l’aspetto delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative dell’azienda.
Al di là della conferma dell’orientamento della Cassazione in materia, nella recente pronuncia in esame sembrano degne di nota alcune considerazioni in merito alla legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto di lavoro, riassetto organizzativo e riduzione dei costi.
La Corte, non solo ha ribadito l’insindacabilità della scelta del datore di lavoro di procedere alla soppressione della posizione lavorativa nell’ambito di un riassetto organizzativo dell’azienda e una riduzione dei costi, ma afferma chiaramente la validità della scelta del datore di lavoro di licenziare la più giovane dipendente del comparto in esubero e priva dei carichi di famiglia.

A fondamento della legittimità del licenziamento restano sempre ferme l’impossibilità di impiegare il lavoratore in mansioni diverse nell’ambito dell’organizzazione dell’impresa esistente al momento del recesso (desunta, nel caso concreto, dal mancato possesso della professionalità e della qualifica specificamente richieste per la reale attività produttiva e di slancio dell’azienda) nonché l’oggettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo aziendale in relazione alla scelta dei dipendenti interessati dal provvedimento del licenziamento.

Riferimenti: Legge n. 223/1991, artt. 4, 5 e 24; Legge n. 300/1970, art. 18; Circolare Ministero del Lavoro n. 155/1991.

lunedì 10 maggio 2010

Lavoratore in distacco e responsabilità del distaccante

Il lavoratore inviato in distacco presso un altro datore di lavoro, mantiene un rapporto di dipendenza organica con il distaccante, da cui dipende e nell’interesse del quale svolge la prestazione. Le caratteristiche del distacco, come individuate dall’art. 30 della legge Biagi, sono appunto la temporaneità della prestazione lavorativa resa in favore di un altro soggetto ( il distaccata rio) e che tale prestazione sia resa nell’interesse del distaccante.
La Cassazione, sez. lavoro, con sentenza dell’11 gennaio 2010, n. 215, affronta un tema molto delicato, legato al fatto illecito commesso dal lavoratore in distacco e come , in tale ipotesi, si configura la responsabilità del distaccante per il fatto illecito commesso dal proprio dipendente mentre opera presso terzi.
La questione portata al vaglio della Corte, riguarda un dipendente in distacco presso un’altra impresa che nello svolgimento della propria attività lavorativa, provocava un incidente in cui era coinvolto un altro lavoratore ( dipendente da un soggetto diverso).
L’infortunio veniva provocato durante la movimentazione di un macchinario, avvenuta senza la dovuta cautela, con conseguente travolgimento dell’altro lavoratore . Veniva appurato, che il macchinario, una gru nel caso concreto, era stato manovrato senza la dovuta diligenza e cautela dal lavoratore in distacco.
Dall’esame dei fatti, emergeva la responsabilità del lavoratore in distacco, a cui si aggiungeva quella del responsabile del c antiere e dei lavori, del datore di lavoro dell’infortunato, in quanto non aveva provveduto ad adottare le necessarie misure di sicurezza previste e collegate all’uso della macchina escavatrice e , venendo al caso che qui ci interessa, quella del datore di lavoro distaccante, per non aver provveduto ad eseguire il preventivo accertamento dell’esistenza del cantiere dei presidi infortunistici, delle barriere di protezione e delle altre misure di tutela previste dalla legge.
Il datore di lavoro distaccante, proponeva ricorso avverso al sentenza di condanna della Corte di Appello, che lo individuava quale responsabile( in solido) dei danni conseguenti all’infortunio provocato dal lavoratore in distacco, sostenendo che gli obblighi di tutela previsti dalle norme in materia di sicurezza, nell’ipotesi di distacco, risultavano in capo al datore di lavoro distaccatario, cui compete l’organizzazione del lavoro , l’assegnazione delle mansioni e la direzione dei lavoratori, tutte queste condizioni sulle quali il distaccante non ha in alcun modo potere di interferire.
La sentenza in commento, conferma la decisione della Corte di Appello, richiamandosi all’art. 2049 c.c. che recita “ i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”.
La conseguenza organizzativa connessa all’esecuzione del distacco, di cui all’art. 30 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, non far venire meno il collegamento tra l’interesse organizzativo del datore di lavoro distaccante e l’esecuzione della prestazione presso un soggetto terzo, da cui ne consegue la permanenza del criterio di ripartizione dei rischi, che coinvolge quindi anche il distaccante, legato alla responsabilità dell’impresa, secondo il principio di cui all’art. 2049 c.c.

Obblighi contributivi alle Casse Edili e accordi transattivi

Fondazione Studi Consulenti del Lavoro 28/04/2010, n. 15


Qualsivoglia pagamento diretto dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore, anche in sede di conciliazione, lascia immutati tutti gli obblighi contributivi del datore di lavoro nei confronti della Cassa edile.

Ciò in quanto i singoli datore di lavoro e lavoratore non possono sottrarsi ad un mandato di tipo collettivo, istituto al quale è da ricondurre il rapporto tra il datore di lavoro (delegante) e la cassa edile (delegata) che ha la sua fonte regolatrice nei CCNL per i dipendenti delle imprese edili ed affini (industriali, piccole e medie industrie, artigiane e cooperative).

La contrattazione collettiva, quale fonte regolatrice, tutela l’interesse collettivo delle diverse associazioni di categoria firmatarie dei contratti collettivi nazionali di lavoro, non già interessi individuali di singoli iscritti.

Trattandosi di un mandato collettivo, lo stesso può essere derogato o revocato esclusivamente con il consenso di tutti le parti del rapporto di mandato, tra le quali la Cassa edile costituisce la delegata/incaricata dal datore di lavoro (delegante) al pagamento di determinate voci retributive direttamente a favore del lavoratore (delegatario), secondo le scadenze stabilite dal contratto collettivo.
Tali voci retributive (ferie, 13ma e anzianità professionale edile ordinaria, APEO ecc.) sono accantonate in ciascun periodo di paga e versate (“girate”) dal datore di lavoro alle Casse edili.

Si ricorda per completezza che la Cassa edile è un ente bilaterale paritetico, istituito a livello provinciale dal contratto collettivo nazionale di lavoro del settore edile, che ne disciplina attività, obblighi, compiti e funzioni istituzionali nell’interesse degli Associati, le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro (ANCE, associazione nazionale dei costruttori edili o associazioni artigiane di categoria) firmatarie del CCNL.

In merito all’obbligatorietà di iscrizione alle Casse edili, segnaliamo che il Ministero del Lavoro ha più volte affermato che l’azienda inquadrata o inquadrabile nel settore dell’edilizia sia tenuta all’applicazione del contratto collettivo che disciplina, nella parte economico-normativa (alla quale è obbligatorio dare esecuzione), gli obblighi di iscrizione e versamento alle Casse edili.

È importante sottolineare come la Cassa edile operi con esclusivo riferimento alle imprese dell’edilizia alle cui dipendenze vi siano operai/apprendisti operai (codici Ateco 2002 da 45.1 a 45.5), e non alle altre che applichino un diverso contratto collettivo o siano del settore edile ma occupino soltanto personale amministrativo o tecnico. Si ricorda infine che le disposizioni meramente obbligatorie di un contratto collettivo di lavoro (che è un contratto di diritto comune, nell’attuale ordinamento) impegnano esclusivamente le parti contraenti (e quindi l’azienda che sia aderente all’associazione firmataria del CCNL). L’indicazione del codice di iscrizione alla Cassa edile è obbligatoria per proseguire l’iter della procedura per il rilascio del DURC.

Alla luce di quanto sopra, ipotizziamo un accordo transattivo tra un’impresa edile ed un operaio per il riconoscimento di scatti d’anzianità non pagati per uno specifico periodo di prestata attività.

Le somme riconosciute a titolo transattivo saranno assoggettate alla tassazione con l’aliquota del TFR (se connesse alla cessazione del rapporto di lavoro o, in alternativa, alla ritenuta d’acconto del 20% se l’oggetto dell’accordo è invece la rinuncia ad ogni lite futura), mentre alcun prelievo contributivo INPS e INAIL è dovuto.

Sul fronte degli obblighi contributivi alla Cassa edile, il datore di lavoro sarà tenuto a versare le somme arretrate corrispondenti alle differenze retributive ricalcolate e riconosciute in sede conciliativa con un accordo transattivo.

Per quanto riguarda contributi ed altre somme dovute alle Casse edili per gli scopi istituzionali, anch’essi sono dovuti in forza di un rapporto obbligatorio, distinto rispetto al rapporto di lavoro, tra datore di lavoro e cassa edile.

L’accordo conciliativo tra datore di lavoro e lavoratore resta del tutto estraneo e privo di effetti rispetto alla Cassa edile che rappresenta un soggetto terzo nei confronti dell’atto di transazione che ha forza di legge e produce effetti esclusivamente tra le parti.

Riferimenti: Codice civile artt. 1269 e ss. (delegazione di pagamento), 1372 (efficacia del contratto), 1726 (revoca del mandato collettivo) e 2113 (diritti irrinunciabili dei lavoratori e conciliazioni); DPR 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 17 e 67, co. 1, lett. L); Legge n. 153/1969, art. 12; Note Ministero del Lavoro 6 novembre 2009 e 23 dicembre 2008, n. 56; Circolare Ministero del Lavoro 30 gennaio 2008, n. 5; Cass., Sez. civ., 11 dicembre 2006, n. 26324; Cass., Sez. civ., 1 ottobre 2003, n. 14658; Cass., Sez. civ., 6 marzo 1986, n. 1502.

Intermediazione di manodopera ed effetti estintivi in materia contributiva

Nell’ipotesi di intermediazione di manodopera, il datore di lavoro apparente che versa regolarmente i contributi in favore dei lavoratori, estingue il debito nei confronti dell’Inps anche nei confronti del datore di lavoro effettivo, Cass. Sez lavoro sentenza 9 aprile 2010.

L’intermediazione di manodopera, così come una volta prevista dalla legge n. 1369/60 , individuava due soggetti. Il datore di lavoro effettivo ( appaltante) che beneficiava delle prestazione dei lavoratori, e il datore di lavoro apparente ( appaltatore) che aveva il solo scopo di procurare manodopera in favore di un altro soggetto.

Con l’entrata in vigore del d.lgs. bn. 276/2003, viene abrogata la legge n. 1369/60 e sostituita dalla somministrazione illecita di manodopera, che rapporta la situazione illecita all’esecuzione di un rapporto gestito da un soggetto privo dell’autorizzazione ministeriale.

Lo schema normativo non muta nella sostanza anche se gli effetti previsti e sanzionatori sono molto differenti rispetto al passato.

Un problema di particolare rilevanza è senz’altro determinato dall’obbligazione contributiva relativa i lavoratori impiegati nell’appalto, che di fatto, in caso di somministrazione illecita, sono alle dipendenze effettive del datore di lavoro utilizzatore.

In questo caso, il regolare versamento dei contributi da parte del datore di lavoro fittizio, come si pone nei confronti dell’obbligo di versamento nei confronti dell’Inps?

Il precedente orientamento della Corte di Cassazione ( cfr tra le altre Cass. N. 10556/1995), riferita al superato regime di intermediazione di manodopera, individuava in capo al datore di lavoro effettivo, gli obblighi in materia contributiva legati al rapporto di lavoro. È vero dunque ricordare come la vecchia norma, prevedeva come conseguenza dell’intermediazione illecita, che i lavoratori venissero considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore, mentre quella attuale lo subordina a determinate situazioni.

Da tale condizione ne discendeva che per l’unicità del rapporto di lavoro e per la responsabilità contributiva e assicurativa nei confronti degli Enti, il datore di lavoro effettivo era tenuto a corrispondere all’Inps, i contributi previsti per l’occupazione dei lavoratori interessati, tenuto conto che tale rapporto conteneva in sé gli estremi per l’individuazione dell’obbligazione contributiva e per il versamento conseguente.

Venendo alle sentenza in commento ( Cass. Sezione lavoro n. 8451/2010) l’orizzonte si sposta non tanto sulla responsabilità contributiva a carico del datore di lavoro effettivo, quanto sull’effetto estintivo del versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro apparente.

In questo caso la sentenza della Corte di Cassazione si preoccupa comunque di conservare i vantaggi legati ad un versamento contributivo di fatto avvenuto in favore dei lavoratori impegnati illecitamente, anche al fine di non pregiudicare il diritto di questi soggetti di vedere garantita una posizione contributiva.

L’effetto negativo, spesso verificatosi nel passato, consisteva nel richiedere al datore di lavoro effettivo il versamento dei contributi, situazione che poteva vedere come conseguenza il diritto in capo al datore di lavoro apparente di ottenere la restituzione della contribuzione indebitamente versata.

Alla luce di tali considerazioni, la sentenza in commento parte da una considerazione ragionevole: i versamenti effettuati dal datore di lavoro apparente, hanno un effetto estintivo e satisfattivo del credito del datore di lavoro nei confronti dell’Inps, fermo restando l’onere in capo a quest’ultimo di procedere al versamento delle differenze determinate da scostamenti imponibili legati a differenze contrattuali.

sabato 8 maggio 2010

La tassazione della retribuzione erogata dal datore di lavoro privo di stabile organizzazione in Italia

Parere Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro 09/04/2010, n. 12

In merito alla tassazione applicabile alla retribuzione erogata da un datore di lavoro senza stabile organizzazione in Italia ad un dipendente, cittadino italiano e residente/domiciliato in Italia, è stato di recente chiarito quanto segue alla luce dei criteri generalmente vigenti in materia.
Nella stesura del parere la Fondazione fa riserva di approfondire documentalmente le esatte caratteristiche del datore di lavoro (definito nel quesito posto come organismo internazionale extraterritoriale), al fine di valutare il caso preciso, in quanto sussistono diverse deroghe normative nell’ambito in argomento.
La fonte di riferimento è costituita dagli accordi di sede sottoscritti dal Governo italiano (Stato ospitante sede e uffici dell’organismo) e dai soggetti promotori cui appartiene l’organismo ospitato. Numerosi sono gli accordi di sede stipulati dall’Italia per l’accoglienza di sedi/uffici di Organismi internazionali (ONU, FAO, Istituto Italo-Latino americano IILA ecc. ecc.).
L’accordo di sede (convenzione internazionale) ha in genere un contenuto standardizzato, salvo specifiche particolarità riferite al singolo organismo internazionale, e deve essere ratificato con legge per divenire norma dell’ordinamento giuridico italiano.
Tale accordo di sede rappresenta dunque la fonte alla quale fare riferimento per stabilire la regolamentazione dei rapporti giuridici tra l’Organismo e lo Stato ospitante, compreso il trattamento fiscale delle retribuzioni corrisposte al personale dipendente dall’organismo internazionale.
Un aspetto fondamentale delle convenzioni internazionali in materia è costituito dal mantenimento di privilegi e immunità all’organismo, ai delegati dei Paesi membri e ai funzionari per consentire il raggiungimento degli specifici scopi istituzionali.
La categoria dei funzionari è ampia e comprende ciascun membro del personale che svolge le proprie mansioni per le finalità istituzionali dell’organismo di appartenenza.
Non vi rientrano invece figure specializzate esperte con incarichi ad hoc né il personale assunto localmente e retribuito in base alle ore prestate.
Tra i privilegi rientra l’esenzione fiscale dei diversi trattamenti economici erogati dall’organismo o per conto dello stesso.
Tuttavia, di norma è previsto che proprio i funzionari di cittadinanza italiana o residenti in via permanente in Italia non siano beneficiari di tale esenzione fiscale.
Facendo sempre salve eventuali eccezioni ed ulteriori particolarità legate al singolo organismo, l’inapplicabilità, come sopra specificato, dell’esenzione fiscale al funzionario italiano che lavora presso l’organismo internazionale senza stabile organizzazione in Italia comporta che l’organismo datore di lavoro effettua nel cedolino paga le sole ritenute previdenziali indicate nel modello CUD (non essendo soggetto passivo d’imposta identificato in Italia).
Per l’assolvimento degli obblighi fiscali, provvederà direttamente il lavoratore a presentare il modello UNICO (indicandovi nel quadro RC la retribuzione percepita al netto dei contributi previdenziali trattenuti e riportati nel CUD).
A tal fine, il datore di lavoro deve rilasciare al funzionario un’attestazione delle somme lorde erogate. in caso di mancata consegna al lavoratore, tali ammontari potranno essere ricavati ai fini della dichiarazionale fiscale annuale dalla documentazione utile (buste paga, estratti conto bancari ecc.).

Riferimenti: DPR n. 601/1973, art. 41.

venerdì 7 maggio 2010

ENPALS: il pagamento dell’indennità di maternità delle lavoratrici iscritte

Fondazione Studi Consulenti del Lavoro Parere 26/04/2010, n. 14

In risposta ad un quesito posto al Comitato scientifico, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro interviene a fornire alcuni dettagli chiarificatori in merito all’erogazione dell’indennità di maternità alle lavoratrici iscritte all’ENPALS (ente nazionale di previdenza obbligatoria dei lavoratori dello spettacolo).
Anzitutto, nel concreto caso sottoposto alle valutazioni del Comitato, la lavoratrice è iscritta a due diverse gestioni previdenziali obbligatorie riferite a due distinti rapporti contrattuali (l’uno, di prestazione d’opera professionale (autonoma) e l’altro di collaborazione coordinata e continuativa), tra l’altro, intestati alla medesima azienda committente.
E’ chiaramente affermato dalla Fondazione che l’obbligo di pagamento delle provvidenze economiche per il periodo del congedo di maternità resta a carico dell’Istituto al quale l’azienda è tenuta al versamento dei contributi per il finanziamento delle prestazioni di tipo assistenziale.
Ciò premesso, hanno l’obbligo di iscriversi all’ENPALS i lavoratori che prestano la loro attività per aziende dello spettacolo (con inquadramento come dipendenti o autonomi). Posto quest’obbligo, all’ENPALS devono essere versati i contributi per il finanziamento dei trattamenti pensionistici (IVS), mentre all’INPS corre l’obbligo di versamento dei contributi “minori” per le prestazioni assistenziali di malattia, maternità, assegni per il nucleo familiare, fondo di garanzia del TFR e disoccupazione. I contributi “minori” sono versati dal datore di lavoro su una specifica matricola aziendale presso l’INPS e in base alle aliquote previste per il settore Industria per il personale dipendente. Per i lavoratori autonomi, invece, l’ENPALS è tenuto a versare all’INPS i contributi utili per l’erogazione delle relative prestazioni assistenziali.
L’aspetto discriminante è dunque l’iscrizione (irrilevante, se precedente o successiva all’iscrizione ad altra forma obbligatoria di previdenza) all’ENPALS. Infatti, l’iscrizione all’altra gestione previdenziale obbligatoria, la Gestione separata dei lavoratori parasubordinati, nel caso concreto, comporta il versamento dei contributi totali (carico committente e prestatore) nella misura base del 17% che esclude quote aggiuntive per il finanziamento delle indennità di maternità, malattia e degenza ospedaliera e degli assegni per il nucleo familiare (finanziati con la maggiore aliquota del 26,72%).
La domanda va pertanto inoltrata dalla lavoratrice all’INPS, competente in base al suo luogo di residenza, che provvederà ad un pagamento diretto. I lavoratori dello spettacolo (con qualsiasi tipo di contratto, subordinato, a tempo determinato o indeterminato, o autonomo, a prestazione) rientrano infatti nelle categorie per le quali è previsto il pagamento diretto delle prestazioni assistenziali. Il modello da utilizzare per l’istanza è il MOD. SR01, lo stesso dei lavoratori subordinati, avendo cura di specificare i dati (es. coordinate bancarie) per l’accredito delle indennità da parte dell’INPS, di norma non richieste per la compilazione della parte dei lavoratori dipendenti.
Per completezza, si specifica altresì che con Legge n. 833/1978 (istitutiva del servizio sanitario nazionale) l’erogazione delle indennità di malattia e maternità, già gestite da altri enti, casse e gestioni autonome, è stata accentrata in un’unica apposita gestione assistenziale presso l’INPS, il quale costituisce dunque l’ente unico al quale le prestazioni di maternità e malattia devono essere richieste dagli interessati.

Riferimenti: D.Lgs. n. 151/2001, artt. 2 e 64; Legge n. 247/2007; D.Lgs. n. 182/1997, art. 2; Legge n. 833/1978; Circolari INPS n. 137/2007, n. 60/2002, n. 200/1977, n. 191/1988, n. 76/2000 e n. 134363/1981.

Regolarizzazione anche con espulsione

La sanatoria di colf e badanti ha previsto diversi spunti di riflessione che hanno comportato un mutamento delle posizioni precedentemente assunte dal Ministero dell’interno in tema di regolarizzazioni. Si pensi alla cessazione anticipata del rapporto di lavoro, alla possibilità per lo straniero di ottenere un permesso di soggiorno per attesa occupazione e a tutta una serie di situazioni che non immaginate all’atto della promulgazione della legge, si sono poi riscontrate nella realtà dei fatti.
L’aspetto che qui si tratta, riguarda il diniego alla regolarizzazione nei confronti della colf o della badante nei confronti della quale è stato adottato dal questore un decreto di espulsione, che non ha passato il vaglio dei giudici amministrativi della Toscana.
Le ordinanze in argomento, sono esattamente la n. 300 e la n . 301 del 21 aprile 2010, TAR Toscana, con le quali si affronta la fattispecie di cui all’art. 14, comma 5 – ter del d.lgs. n. 286/98 e come questa si rapporta con le disposizioni in materia di regolarizzazione di cui alla legge n. 102/2009.
In particolare le norma sull’espulsione si applica in caso di ingresso illegale del cittadino extracomunitario nel territorio dello Stato, o nell’ipotesi in cui il cittadino straniero non ha richiesto nei termini il permesso di soggiorno o nel caso in cui il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato.
In tutti questi casi, si applica a carico del cittadino la pena dell’arresto da uno a quattro anni se l’espulsione è stata disposta per una delle ipotesi sopra richiamate.
Nelle altre ipotesi di irregolarità legate al permesso di soggiorno, si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno . Si tratta dei casi in cui il permesso è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, ovvero nell’ipotesi in cui il titolo di soggiorno è stato rifiutato, ovvero se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello stato in violazione delle disposizioni in materia di soggiorni brevi.
A tal riguardo, il Ministero dell’interno con la circolare n. 1843/2010, ricordava come la regolarizzazione fosse preclusa ai soggetti che rientrassero in una delle ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter in quanto secondo il ragionamento ministeriale, erano riconducibili ad una delle ipotesi di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. che costituisce un impedimento all’istanza di regolarizzazione.
La posizione ministeriale escludeva l’istanza di regolarizzazione nei confronti del lavoratore che si è ingiustificatamente trattenuto sul territorio italiano violando l’ordine impartito dal Questore di lasciare l’Italia entro 5 giorni in quanto tale ipotesi è riconducibile all’applicazione dell’art. 381 c.p.p., che risulta come detto motivo ostativo alla regolarizzazione.
Diversamente, per lo straniero che permane in Italia in violazione dell’ordine impartito dal questore in quanto il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, comunque non risulta preclusa la procedura di regolarizzazione.
La posizione del Tar Toscana, rigetta l’indicazione ministeriale in ragione del fatto che l’ipotesi regolata dall’art. 14, comma 5-ter del T.U. sull’immigrazione presenta i caratteri della specialità rispetto alla più generica disposizione contenuta nel codice di procedura penale e non può essere assimilata direttamente alle procedure di cui agli artt.380 e 381 c.p.p.
Ne consegue che l’esclusione ministeriale per i giudici amministrativi della toscana, risulta immotivata, con conseguente allargamento delle ipotesi che consentono l’ammissione alla regolarizzazione.